Nasce l’amore

Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]

Amami come sono

Amami come sono e non per ciò che sembro non cercare in me ciò che è in te:sbagli Ognuno ha in sè qualcosa di irripetibile tu,se vuoi,puoi imitarlo,ma mai copiarlo Forse ti impressioni per la mia maturità non desistere,sarai certo […]

Il miracolo delle lacrime

Chi non ha mai pianto non è un vero uomo e tanto meno ha una fede viva. Tra i tanti miracoli dell’umanita quello delle lacrime è  il più bello, perché schiude il cuore alla gioia e al dolore, al sorriso dell’accoglienza e […]

Chi bussa alla porta?

Non affogare la vita nello scrigno d’oro ogni cosa vive nel segno del provvisorio Nessuno si appaga in quello che possiede nè depone le ali,usate sempre per volare Chi ha,più vuole e si preoccupa di avere è come una trottola,mai […]

Più tempo per me

Ho consumato troppo tempo,senza avere nemmeno un istante per poter misurare la cifra tra ciò che ero ed oggi sono Sempre immerso nell’immediato,tutto m’è sfuggito di mano persino l’ombra del silenzio,dove guardavo al mio futuro Ora conto attraverso le rughe […]

 

A Papa Francesco

Voglio solo toccarti e dirti a voce alta

“ esisto ” pure io in questo mondo fatto

di noia,ove ognuno pedala in modo uguale

i poveri restano sempre al palo, i ricchi

continuano a vivere di tediosi privilegi

i manovali anonimi della chiesa lavorano

senza tregua, i porporati ti sono accanto

e a differenza dei senza nomi ti tendono

le mani che non conoscono il vero sudore

Ti voglio toccare non per chiedere onori

non desidero scorrere nella tua leggenda

che si eleva come arcobaleno di vittoria

le cui grida echeggiano in cielo,ma solo

per dirti che come me esistono altri,che

liberi da patologie di carriera, brillano

per la Parola che annunciano,per l’amore

che donano,per la gioia d’essere laddove

gli ultimi piangono ed hanno mani aperte

Lo scienziato che ritiene immorale far nascere un bimbo Down

È la storia che giudicherà  la grandezza dello scienziato inglese Richard Dawkins.

Tuttavia, se fossi chiamato a dare un giudizio di valore sulla eticità  di alcune sue dichiarazioni, non troverei parole migliori che definirlo un pessimo pensatore, che, pur di ostentare il suo ateismo, non disdegna di svilire la bellezza dell’ umanità così come è.

Del resto, non c’è da stupirsi: un uomo senza Dio, facilmente rovina in disastrosi teoremi, che ne rivelano la follia.

Così, è semplicemente assurdo che un grande! pensatore, all’età di oltre 74 anni, possa trasformarsi in un mestatore verbale, dicendo ad una madre che ” permettere a un bambino Down di nascere, sarebbe immorale “.

Dichiarazione blasfema, che dimostra quanto sia distante lo scienziato inglese dalla conoscenza reale e dalla dolcezza di un ragazzo Down.

Mentre scrivo guardo il mio amico Marco, giovane con la sindrome di Down, attento, pieno di vitalità, pronto a rispondere ad ogni domanda, rispettoso di se stesso e del prossimo.

Caro Scienziato inglese, Marco non  potrebbe essere per lei un grande suggeritore di umanità ?

DOMENICA XXI

Il Vangelo di Matteo in genere è definito “il Vangelo ecclesiastico per eccellenza”. E il brano odierno ne costituisce una sintesi, essendo un po’ come un compendio di tutta la Cristologia e della stessa ecclesiologia. In esso infatti ci viene presentato il mistero di Cristo ed il mistero della Chiesa. L’episodio storico nel quale troviamo inserita questa ricchezza dottrinale si verifica a Cesarea di Filippo, dove Gesù pone ai suoi discepoli due domande, il cui eco è sempre di forte attualità anche per noi che spesso costruiamo di Cristo un’immagine riduttiva e conforme ai nostri schemi mentali. Nella prima Gesù chiede:” La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Sembra una richiesta di semplice curiosità, finalizzata a conoscere il pensiero della “gente” circa la Sua persona. E gli Apostoli rispondono, riportando appunto le diverse opinioni della gente:” Alcuni dicono Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. E quella di “profeta” era la qualifica più alta che la gente comune potesse attribuire ad una persona. Ma Gesù non si ferma a tali considerazioni, ben sapendo che non coincidono con la realtà che nasconde in sé. Perciò, incalza gli apostoli con una seconda domanda, per conoscere il loro parere personale su di Lui: “Voi chi dite che io sia”. A questo punto interviene Pietro che parla a nome di tutti e dice:” Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E’ la grande confessione di fede di Pietro. Una confessione completa e matura, che riconosce non solo la messianicità di Gesù, ma anche la sua figliolanza divina, a differenza degli altri evangelisti, che nella confessione di Pietro proclamano soltanto  Gesù come il Messia, promesso dai profeti e atteso dal popolo. Così, nel Vangelo di Marco leggiamo: ”Tu sei il Messia”; in Luca troviamo:” Tu sei il Messia di Dio”; infine, in Giovanni viene riferito: “Tu sei il Santo di Dio”. Solo in Matteo, pertanto, abbiamo questa doppia confessione, che non dovrebbe però meravigliare più di tanto, soprattutto se consideriamo che già in occasione del cammino di Gesù sulle acque agitate del lago di Tiberiade, i discepoli, prostrandosi, avevano esclamato: ”Tu sei veramente il Figlio di Dio”. In altre parole, essi comprendono che in Gesù non c’è semplicemente un profeta, portavoce della rivelazione di Dio, ma il Figlio di Dio Padre. Tocchiamo così il vertice della fede in Gesù Cristo, che Pietro coglie non per la sua intelligenza, ma per una speciale rivelazione di Dio. E’ la fede, dono che gli viene dall’Alto, che lo apre alle meraviglie di Dio. E Gesù lo sottolinea, dicendogli: ”Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”. Qui Gesù non solo si compiace con Pietro per la primizia della conoscenza della sua divinità concessagli dal Padre, ma anche per la funzione di preminenza che avrà all’interno della Chiesa.

Del resto, la Chiesa si fonda sulla fede nella divinità di Gesù. Senza questa fede risulterebbe un semplice insieme di persone, ma non una comunità che Dio convoca e salva in Cristo Suo Figlio. In questa luce comprendiamo meglio la seconda parte del passo evangelico, il cui contenuto, esclusivo di Matteo, è di grande rilevanza teologica. A Pietro che ha confessato Cristo come “Figlio di Dio”, Gesù risponde con una promessa formale, usando tre immagini, che specificano la missione speciale che intende conferirgli. Con la prima lo chiama non più Simone, ma Pietro; e, giocando con questo nuovo nome, lo pone quale “pietra” di fondamento su cui edificherà la sua Chiesa:” Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. La persona di Pietro diventa la pietra-base sulla quale Gesù costruirà l’edificio spirituale che è la Chiesa, che non si sgretolerà mai, essendo come “casa fondata sulla roccia”.

Con la seconda immagine Gesù, paragonando il Regno dei Cieli ad una casa, affida a Pietro “le chiavi” di accesso:”A te darò le chiavi de Regno dei Cieli”; chiavi che simboleggiano l’autorità di cui verrà investito. Con la terza immagine:”tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”, Gesù attribuisce a Pietro il potere di proibire e permettere un determinato comportamento, il potere di escludere o di ammettere nella comunità. In altre parole, Pietro viene costituito il custode ed il garante della dottrina e della morale della comunità. E questa pienezza di autorità concessa da Gesù a Pietro non termina con la morte dell’Apostolo, ma si trasmette ai suoi successori, i Papi, quali vescovi di Roma. Del resto Gesù non fonda una Chiesa limitata al destino terreno di un uomo, ma la vuole con un valore universale ed eterno. Per cui, le prerogative ricevute da Pietro non sono di scadenza, ma si perpetuano nei suoi successori, eredi del suo compito come della sua autorità. Ma davanti alla domanda iniziale di Gesù: ”Voi chi dite che Io sia?” e alla risposta di Pietro:”Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente”, quale è la nostra posizione? Noi in chi crediamo? Chi è Gesù per noi? Che cosa è la Chiesa? Chi rappresenta il Papa? Purtroppo, di fronte a tali domande, ci siamo fermati alla soglia del mistero, distratti dalla cultura dei falsi idoli.  Abbiamo preferito non andare oltre, per non aprirci nella fede all’autentica conoscenza di Cristo e della Chiesa. Invece, oggi più che mai, tramontate tutte le velleità ideologiche, abbiamo bisogno di conoscere a fondo Gesù, la Sua Persona. Il che è possibile soltanto  attraverso la lettura del Vangelo e la preghiera: condizioni essenziali per gustare nello spirito la vera identità di Gesù e per innamorarci della Chiesa, la quale, per quanto spesso disprezzata, resta per tutti noi l’unico porto di tranquillità e di intimità con Dio.

 

 

Ciò che mi addolora

Ciò che mi addolora non è il peso dell’età

che ancora freme nell’incanto delle stelle

e sente il profumo della bellezza che vede

ma i tanti giorni marciti senza nulla dire

del mio esistere su cui calava come coltre

funerea il sipario della vera nullafacenza

Adesso sembrano povere memorie di cadaveri

che rendono triste il passato quasi musica

di doloroso addio a un tempo che non è più

giorni privi di fiori frutti,alberi secchi

ove tutto correva noiosamente senza attesa

neanche del domani,visto solo per mangiare

Quanto pagherei per rianimare almeno pochi

di quei giorni consumati senza nome,invece

di singhiozzare pensando al poco che resta!

IL poco che,nonostante tutto pur mi prende

e mi attrae,segnando nuovi cammini di luce

sui quali incontro il volto le mani di Dio

e gusto,pregando,la tenerezza di sua Madre

La carità non è un accessorio della fede

Il cristiano, che diventa samaritano per il povero, non fa altro che vivere e rivelare un vero e proprio atto di fedeltà al Vangelo.
Invece, genera profonda tristezza chi trascura la cura dei bisognosi lungo la strada e poi in chiesa si mostra zelante nella fede.
Che segno di credibilità può avere una fede, che non orienta verso la carità?

Una fede chiusa solo nella tenda della contemplazione, disincantata dalla indigenza e sorda ad ogni grido di sofferenza, che ignora le pur minime necessitá materiali, certamente non proviene da Cristo nè crea autentica testimonianza.
La carità non è un accessorio della fede nè qualcosa di secondario per la Chiesa, ma è un requisito essenziale della stessa vita di fede e della Chiesa, nella quale, sin dalle origini, furono istituiti ministeri di servizio per gli ultimi.
E non poteva essere diversamente, considerato che Gesù volle nascondere la sua gloria proprio in queste situazioni di povertà.

Tuttavia, non si può restringere l’ afflato caritativo solo  ad un gesto concreto di sostegno  al singolo  povero, anche se importante e sempre gradito al Signore. È necessario prendere coscienza che la carità, basata sul vangelo di Gesù Cristo, ha una dimensione fortemente sociale e politica. Il che significa che ogni vero cristiano  è chiamato ad amare il povero  proprio sul piano sociale, cioè, nell’insieme  di tutte le sovrastrutture che lo condizionano e lo rendono tale. Nello stesso tempo, deve avvalersi di qualsiasi mediazione sociale sia per poter  migliorare la sua vita sia  per eliminare le cause di povertà.

Pertanto, un cristiano che ignora le mediazioni sociali, quali la politica, le varie organizzazioni o le istanze  che mirano al bene comune, oppure le trascura, dimostra che la sua fede non ha ancora scoperto il valore e l’ impegno sociale della carità. Ed è una vera tristezza  trovarsi, soprattutto oggi, al cospetto di tanti cristiani, attenti alla carità verso il singolo, ma del tutto disimpegnati dalla loro  partecipazione alle tante mediazioni sociali, le uniche capaci di trasformare il contesto qualitativo della vita umana.

 

Campo Scout 2014 Casapulla: località ” Le Falode “

camp1Giornata meravigliosa passata con gli Scout alle Falode presso Gallo Matese,in un clima di profonda serenità, dove la gioia dei genitori si coniugava con la spensieratezza dei figli.

Profondamente colpito dall’impegno dei Capi,altrettanto stupito dalla creatività dei reparti e dei lupetti, ho potuto constatare la bellezza dello stare insieme, ben visibile nella reciprocità di tanti sorrisi e comportamenti fraterni.

camp2La celebrazione della Santa Messa è stato il momento più solenne,vissuto in un atteggiamento d silenzio da parte di tutti, attenti e pronti all’accoglienza di Gesù.

fotcamp4camp3L’incontro conviviale,che ha visto le famiglie sparse un po’ ovunque, ha completato la vivacità della giornata con i saluti telefonici dell’Arcivescovo di Capua, S.E. Mons. Salvatore Visco.

XVIII Domenica T.O

L’idea di fondo che attraversa la liturgia della parola di questa domenica è l’amore premuroso di Cristo verso l’umanità, rappresentata dalla folla stanca ed affamata che Lo segue. Il brano del Vangelo riporta il miracolo della  moltiplicazione dei pani e dei pesci, che oltre ad essere segno dei tempi messianici già compiuti in Cristo, raffigura, almeno implicitamente, il sacramento dell’Eucaristia, quale cibo e nutrimento della Chiesa. Ci troviamo davanti ad una ricchezza di sentimenti e di movimenti che attirano con forza la nostra attenzione sulla intensità partecipativa di Cristo ai problemi concreti della gente. Egli, benchè addolorato per l’insuccesso pastorale a Nazaret, dove all’incredulità dei suoi concittadini risponde con il famoso proverbio:”nessun è profeta nella sua patria”; benchè afflitto per la tragica morte di Giovanni Battista, fatto decollare da Erode, di fronte alla sofferenza di una folla stanca che lo sta seguendo numerosa, non resta insensibile. Anzi “sentì compassione per loro – annota l’Evangelista Matteo – e guarì molti malati”. La moltiplicazione dei pani rivela un gesto di benevolenza e di  comprensione, che si fa solidarietà profonda ed assunzione del dolore e dei bisogni di tutti. E la guarigione dei malati rappresenta il segno di questo amore compassionevole e liberante di Cristo. Pertanto, il miracolo dei pani e dei pesci moltiplicati non nasce come manifestazione di potenza, ma come gesto di amore e di partecipazione. Non solo, ma tale miracolo, è anche un gesto di condivisione, in quanto non viene dal nulla, ma da quel poco che gli apostoli hanno:”cinque pani e due pesci”, che mettono in comune in un contesto di disponibilità e di fraternità.

In questo evento miracoloso, oltre a leggere la dimensione escatologica ed il preannuncio dell’Eucaristia,intravediamo anche un’altra dimensione, quella ecclesiologica, che è presente nel coinvolgimento diretto degli apostoli, i quali non solo offrono quel poco di cibo di cui dispongono, ma vengono anche chiamati alla distribuzione dei pani e dei pesci. Così, essi che avrebbero voluto congedare la folla per l’ora tarda, diventano sia testimoni del miracolo sia datori di pane  benedetto e moltiplicato da Gesù. Quella degli apostoli è una posizione di intermediazione: Gesù moltiplica i i pani e li dà agli apostoli per distribuirli alla folla. La Chiesa, quale comunità di salvezza, riceve tutto dal Signore e lo trasmette al mondo. Le dodici ceste piene di pani avanzati, che alludono alle dodici tribù di Israele, sono immagine della Chiesa, fondata sui dodici apostoli, così attivamente impegnati in questo miracolo. Ma la lettura di questo miracolo, oltre a connotarsi di ricchi orizzonti dottrinali, fa affiorare alla mente anche le immagini toccanti della povertà e della fame nel mondo. Certo, evocare la fame disperata di tanti nostri fratelli è un po’ disturbare la nostra indifferenza, il nostro eccessivo benessere. Però, se il nostro pensiero non diventa volontà di carità,tesa a dividere il pane con l’affamato; se non ascoltiamo le voci imploranti dei poveri, condividendo con essi almeno il superfluo, la nostra fede e lo stesso Cristianesimo saranno solo parole, inutili parole. Se Cristo, un giorno, ha moltiplicato materialmente i pani e continua a farlo ancora oggi con il miracolo sacramentale dell’Eucaristia, noi, suoi seguaci, siamo invitati a moltiplicare l’amore e la fratellanza con la condivisione, sicuri che, alla fine, avremo da Lui quello che abbiamo donato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Papa a Caserta

Il desiderio di andare, vedere, toccare Papa Francesco non si arresta in alcun modo, anzi coinvolge tutti, piccoli e grandi, entrambi sedotti dal suo sguardo penetrante, dalla semplicità delle parole, dalla delicatezza dei suoi gesti.

C’ è  nella sua persona un fascino, che lo rende punto di attrazione.

Chiunque sente il profumo della novità, non perché dice cose nuove, ma perché con il suo modo di dire e fare, rende nuove persino le cose più comuni.

Non parla come tanti, che credono di essere gli esclusivi depositari della verità  né  indossa abiti pregiati.

Non usa studiate tecniche di comunicazione né  espressioni stereotipate di alta dottrina.

Le sue sono espressioni di facile comprensione, che catturano subito i cuori di chi ascolta.

E le porge con la dolcezza di un Padre, che fa sentire tutto il suo amore, per cui chi ascolta prova solo vicinanza e non distanza.

Quasi vede in Lui un divino nascosto che parla mediante le sue labbra, gesticola con le sue mani, guarda con gli occhi del suo cuore.

Sembra una pioggia di semi uscire dalla sua bocca ogni volta che parla, pronti ad essere raccolti da coloro che sono presenti.

Semi che si trasformano in un gioco di domande esplicite e risposte silenziose, che mirano a raffrontare il vissuto di chi ascolta con il contenuto del Vangelo del giorno.

E qui si percepisce la presenza dello Spirito Santo, che regala non solo a Lui che parla, ma anche a chi ascolta la sua ricchezza, la quale apre alle sorprese di Dio e facilita la comprensione della bellezza e della presenza nel mondo di Cristo.

Cristiani e Musulmani

La fuga dei musulmani dai loro Paesi, oppressi da guerre fratricide, che giungono e non tutti vivi, sulle coste mediterranee, è una grande occasione per i cristiani, i quali, più di ieri, sono chiamati a testimoniare concretamente il vangelo di Cristo: amore verso Dio ed amore verso il prossimo.
Un amore non di semplice e passeggera accoglienza di coloro che sono costretti ad essere raminghi, ma di serena volontà a sapere un giorno coabitare con essi come fratelli in reciproca accettazione dei propri valori.
Non sono le espressioni di rito nè le emozioni nella visione di tante tragedie, che possono segnare reciproche inversioni di comportamenti, ma solo la consapevolezza che in ognuno, aldilá della fede, c’è l’impronta di Dio, si leggono i lineamenti del volto di Cristo.
E per i musulmani un tale atteggiamento d’amore potrebbe significare la caduta di ogni pregiudizio verso i cristiani. Non più visti come nemici da odiare, ma come fratelli da amare. Non solo, ma potrebbe porre anche le basi per la fine di ogni fondamentalismo, fonte di assurde atrocità.

Pertanto, non è più sufficiente dire o gridare: bisogna imparare a vivere insieme, ma occorre, con determinazione, tradurre queste aspirazioni in atti concreti, mirati a realizzare contesti umani, che favoriscono lo sviluppo della persona e, soprattutto, della  dignità umana.

XIV DOMENCA (A)

Il brano del Vangelo di Matteo, proposto dalla liturgia della Parola odierna, ci presenta una delle preghiere più belle pronunciate da Gesù. Una preghiera di grande intensità, di profonda intimità con Dio, nella quale Gesù dichiara esplicitamente l’orizzonte del suo amore preferenziale: i poveri, i semplici, gli emarginati. Gli unici che riescono a vedere nella sua Persona l’azione di Dio. Per comprendere tale brano, che si compone di tre strofe perfettamente integrate, dobbiamo penetrare il contesto di rifiuto e di ostilità che circonda Gesù. Farisei e scribi, ed un po’ tutte le classi dell’intellighenzia ebraica oppongono una netta chiusura a tutto ciò che è nuovo. Soddisfatti della loro dottrina, orgogliosi delle conoscenze bibliche, non si rendono conto che Dio sta realizzando il suo progetto di salvezza sotto i loro occhi in Cristo Gesù, l’umile uomo di Nazaret. La loro è un’ottusità di mente e di cuore che preclude ogni apertura al mistero. Pertanto, immensa è la gioia di Gesù nello scoprire che “i piccoli” hanno intuito qualcosa del suo mistero, a differenza dei primi, presunti “sapienti ed intelligenti”. Quella di Gesù è la gioia di chi finalmente si sente compreso dagli altri. E la gioia è talmente intensa che si trasforma, nella prima strofa, in un inno di giubilo, di ringraziamento al Padre che ha  aperto il cuore dei “piccoli” alla comprensione del suo  mistero:”Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”.  I piccoli, ai quali viene rivelato il mistero di Dio, sono i semplici, i trasparenti, coloro che riconoscono i propri limiti e la propria fragilità. Sono coloro che si pongono in un atteggiamento di umiltà e di disponibilità al suo messaggio, il cui contenuto è sempre oltre la saggezza e l’intelligenza umana. Anzi, davanti a Dio non vale la sapienza umana, ma la semplicità del cuore.  Quella di Dio è una logica che capovolge ogni parametro di giudizio e di rapporto; tende a rovesciare ogni schema precostituito, ogni presuntuosa sicurezza. E’ una logica che non si ferma alle grandi cose, ma, come dice San Paolo ai cristiani di Corinto, sceglie “ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti”; sceglie “ciò che nel mondo è debole per confondere i forti”. Gesù si pone in questa preghiera di lode in perfetta armonia con il Padre; e si compiace con Lui, perché ha voluto rivelare se stesso a gente semplice, umile e negarsi alla superbia dei sapienti.

      Nella seconda strofa, Gesù apre uno spiraglio di luce sul suo mistero, mostrando la coscienza della propria natura divina, la consapevolezza della sua trascendenza. E lo fa sottolineando il rapporto unico ed esclusivo che ha con il Padre:”tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. Sono espressioni cariche di mistero nelle quali Gesù dichiara di essere l’unico che conosce totalmente Dio sino al punto di possedere tutto quello che è di Dio. Anzi, dopo aver rivelato che tra Lui ed il Padre c’è piena e reciproca donazione di conoscenza e di amore, abolisce ogni distanza tra Dio e noi, aprendoci alla bellezza della sua divinità, e dando a tutti noi credenti la possibilità di penetrare, attraverso la sua persona di Figlio, nel mistero di luce abbagliante del Padre. Naturalmente, questa bellezza misteriosa di Dio, rivelata ai semplici e agli umili, è possibile afferrarla soltanto se viviamo secondo lo Spirito, se agiamo secondo la mentalità di Dio e non secondo quella del mondo.

     Nella terza strofa, la preghiera di Gesù diventa un invito ai “piccoli” a mettersi sulla sua strada, unica guida per entrare nel progetto d’amore del Padre ed aderire alla sua volontà:”venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò”. Pertanto, mettersi al seguito di Gesù significa sentirsi liberi dal giogo pesante delle prescrizioni, delle formalità culturali con cui Farisei e Scribi imprigionano i loro contemporanei, ed entrare nel giogo dell’amore. Un giogo non più pesante, ma dolce e delicato, che certamente dischiude sentieri di speranza e di vita per tutti gli oppressi ed affaticati, che trovano in Cristo sicuro ristoro e porto di tranquillità.

      “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime”. Con queste parole Gesù, oltre a lasciarci squarci informativi della sua personalità, del suo carattere intimo e del suo atteggiamento concreto, si pone anche come modello da imitare per apprendere come servire Dio e l’uomo nell’amore. In questa civiltà, dove tutto, cose e persone, vengono misurate con il metro della opportunità, della superbia e dell’arroganza, dove altri tipi di “giogo”, più assurdi e pesanti, opprimono le nostre coscienze, rendendole incapaci di gustare lo stupore della semplicità, Gesù ci invita ad essere trasparenti, a ridiventare  “piccoli”, per conquistare la sua familiarità, condizione indispensabile per vivere la ricchezza dell’amore verso Dio ed i fratelli.