Nasce l’amore
Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]
Non è vero che la vita è una illusione, accarezzata da tanti arcobaleni di fantasia, che, aprendo il cuore a facili voli, rendono meno amaro il senso della realtà.
Certo, se rincorriamo l’ ebbrezza dell’avere, del successo e del potere, che indossano abiti di precarietà, nulla genera il fascino della bellezza di ciò che realmente siamo e viviamo in questo frattempo.
Del resto, a che serve straziare la mente e il cuore per qualcosa che deve morire, senza impegnarci invece per ciò che non tramonta?
Se c’ è una realtà da amare e vivere in tutta la sua intensità e fecondità è proprio la vita, la quale, benché si condensi quaggiù in una breve pausa, essa racchiude, come in uno scrigno, il mistero dell’eternità.
Ed è proprio in questo mistero che ogni istante, anche il più insignificante, se vissuto o solo respirato con lo sguardo al cielo, si illumina di una luce nuova, che segna il nostro destino: noi siamo eterni, non moriremo mai.
L’episodio evangelico della peccatrice che, nel contesto della casa del fariseo cosparge di olio profumato i piedi del Maestro, non prima di averli bagnati con le sue lacrime ed asciugati con i suoi capelli, resta nel tempo una delle pagine più commoventi del Vangelo di Luca. La donna, disprezzata dal resto della società per la sua discutibile morale, con il suo atto di omaggio verso Gesù fa l’esperienza unica e consolante dell’Amore e della Misericordia divina. Infatti, al Signore sono occorsi quei semplici gesti, quell’atto d’amore per appurare il cuore pentito della donna.
Ciò ci riconduce a quanto affermato da Benedetto XVI, a proposito della missione di Gesù. La sua solidarietà con tutti noi implica che Egli si esponga alle minacce e ai pericoli dell’essere umano. Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova (Gesù di Nazaret). Per cui, le parole pronunciate da Gesù alla donna:«I tuoi peccati sono perdonati! La tua fede ti ha salvata, va’ in pace!-» valgono come monito per ciascuno di noi, a non temere di avvicinarci a Lui, mediante il sacramento della Confessione.
Papa Francesco nell’enciclica Evangelium Gaudium insiste proprio sul fatto che annunciare, credere in Lui e seguirlo, non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù.
Pertanto, l’uomo, connubio di fede e ragione, deve lasciarsi guidare dall’Amore, confidare nella meraviglia rappresentata dal Suo Perdono, per poter realizzare a pieno quell’armonia interiore che solo il comprendere e il credere insieme possono produrre, essendo due note del medesimo accordo.
A cura di Teresa Perillo
Quanti sono pochi i bambini sulle spiagge!
Non si sentono più le loro grida nè si vedono le loro rincorse.
Sembra uno spettacolo di soli adulti, volti pensosi, avviliti dai soliti problemi, che, benchè coperti da tratti di quiete, esplodono all’ improvviso con parole gridate, le uniche, che i cellulari raccolgono e portano via.
Non ci sono più sguardi liberi ed intensi, che si distendono nella visione del mare e del cielo, che, abbracciandosi in lontananza, potrebbero donare novità, che vanno oltre il visibile.
Tutto è monotonia e non c’ è spazio per pensare diversamente.
Purtroppo, è veramente difficile trasformare il buio nella bellezza della luce, quando si appende la vita ai giochi del terribile quotidiano, dove anche un figlio spesso può diventare motivo di fastidio.
Mentre la cronaca registra ogni giorno tante tragedie, consumate con ferocia inaudita; mentre gli Stati si combattono in nome delle religioni e la povertà aumenta nell’ indifferenza dei ricchi, qui, nel nostro Paese, ormai alla frutta, si trova ancora tempo per rendere problema di Stato la morte per incidente di un’ orsa.
Al di là del dispiacere che non manca mai in ogni cuore, che ama la natura; pur condannando la leggerezza di chi avrebbe dovuto avere un comportamento più vigile alla tutela dell’orsa, é certamente un pó troppo la visione di tanto spettacolo, al cospetto dei continui drammi umani, che restano, spesso, avvolti nel silenzio.
Che strano Paese é il nostro!
Ama rendere tragedia la commedia, senza disdegnare di fare commedia la tragedia.
Il fascino della natura, non ancora contaminata dall’uomo, è l’ immagine più bella per leggere la bellezza della creazione.
É l’ incredibile che si manifesta realmente agli occhi, che, una volta sedotti, cercano le orme del suo Mistero.
In tale contemplazione é facile gustare l’ originaria freschezza, che non può non schiudere la nostalgia di Dio.
Ed é ancora piu facile sentire il peso della sofferenza per quanto di brutto l’ uomo é stato capace di infliggere al suo mondo.
Oggi, appesi come siamo ai sorrisi delle maschere e delle fate, preferiamo più ciò che ci impressiona che quello che veramente conta.
Ci lasciamo sedurre dalle grandi cose, cediamo alle moine studiate, che ci fanno manichini di attrazione, e non consideriamo affatto la semplicità di chi nelle piccole cose cerca di nascondere la sua anima.
Siamo troppo disattenti e mai guardiamo gli occhi di chi nel poco o nel molto potrebbe rivelare la veritá delle sue intenzioni.
Ci fermiamo all’ incanto di ciò che vediamo ed evitiamo spesso di entrare nelle modalità di approccio, che sono necessarie per scoprire persino la sincerità del cuore.
La gioia di vedere una chiesa piena di fedeli è veramente grande, ma si smorza facilmente, quando si constata tra loro che alcuni, pur sapendo mostrarsi bravi, sono incapaci di perdonare.
Oppure, pur stando l’ uno accanto all’altro, non si salutano e spesso rifiutano persino il segno della pace.
Addirittura, pur facendo ammirevoli gesti di carità, non dimenticano mai il torto ricevuto.
Così, il perdono che dovrebbe spandere il profumo della misericordia di Dio, che dovrebbe essere il distintivo perfetto di ogni cristiano e sostenere la sua credibilità, diventa un optional che si pretende da Dio, senza però saperlo donare e condividere con gli altri.
Agire in questo modo, significa rompere il ponte con Dio e autorizzarLo a trattare chi non perdona con lo stesso metro da lui usato con gli altri.
Mentre sulla spiaggia ognuno si lascia
vezzeggiare dal sole e le onde giocano
baciandosi o scontrandosi per la gioia
di chi nel risucchio prende freschezza
mentre grida inconsulte si intrecciano
con suoni non sempre graditi all’udito
e tanti sciorinano l’estetica bellezza
con stime appese al ridicolo o al vero
si vede galleggiare una sagoma di uomo
che si fa sempre più uomo man mano che
le onde,cullandolo,lo depongono a riva
con il viso senza rughe volto al cielo
Neanche la sua giovinezza genera pietà
o un tantino di umana curiosità,ognuno
gioca rincorre l’amico senza sbirciare
quel fagotto di carne non più fastidio
Tanto sa dispensare l’uomo di oggi,che
forse non avendo più nulla nel cuore e
nell’anima,si fa attore d’indifferenza
bruciando le lacrime che la morte dona
Nelle letture bibliche di questa domenica troviamo una continuità diretta con quelle di domenica scorsa. Lì abbiamo celebrato la messianicità trascendente di Cristo, figlio del Dio vivente; qui scopriamo, attraverso le stesse parole di Gesù, che tipo di Messia Egli è. Non il Messia del trionfalismo temporale, tanto atteso, destinato alla liberazione di Israele, ma il Messia della Croce. Lì abbiamo meditato la grande professione di fede di Pietro, ispirato dall’Alto, nella divinità di Cristo e la sua costituzione quale “roccia” di fondamento per la Chiesa; qui vediamo la brusca reazione di Gesù che ravvisa “una pietra di scandalo” in Pietro, che vorrebbe impedirgli di percorrere la via della passione. Ebbene, il brano si compone di due parti, le quali, anche se ben distinte, sono collegate tra loro da un unico filo conduttore: la Croce, necessaria per Cristo ed i discepoli ad entrare nella gloria del Padre.
Nella prima parte, Gesù mostra le linee della sua messianicità, spiega, cioè, il contenuto vero del suo essere Messia. Nulla compie al di fuori della volontà del Padre, al quale è sempre obbediente, anche se la via da percorrere è quella della Croce. Ed è proprio questa prefigurazione tragica che Gesù fa della sua vita, che Pietro respinge, cercando di ostacolargli la sua andata a Gerusalemme, dove si sarebbe consumato il martirio. Purtroppo, Pietro, pur non rinnegando la propria fede in Cristo, ancora non pensa secondo Dio, ma secondo i propri schemi umani, sospesi alla mentalità del tempo, in attesa di un messianismo politico, senza alcun riferimento alla sofferenza, alla sconfitta. Ed è questo modo di pensare, incapace di cogliere il senso delle cose di Dio, che Gesù stigmatizza aspramente, giungendo a qualificare Pietro come strumento di Satana: ”Lungi da me, Satana! – gli dice – tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. Pertanto, nella vita di Gesù la Croce non è un incidente di percorso, non previsto ed improvviso, ma un disegno prestabilito del Padre, verso il quale Egli va incontro con consapevolezza, quale Servo sofferente e Messia della Croce, obbediente “fino alla morte ed alla morte in Croce”.
Nella seconda parte del passo evangelico, constatiamo che la Croce nella volontà di Dio non è prevista solo per Gesù, ma anche per coloro che si pongono alla Sua sequela. Gesù chiaramente rivela la necessità per ogni discepolo di sentirsi coinvolto nella sua sofferenza. Anzi, non è vero cristiano chi non continua in sé la passione di Cristo. A tale proposito, Gesù detta le condizioni per essere cristiani: rinnegare se stessi e prendere la propria croce. E come Lui nella passione e morte si è annientato, svuotato; si è donato totalmente agli altri per ritrovarsi nella gloria della risurrezione, così il cristiano è invitato a fare altrettanto: deve perdersi per vivere; deve rinunciare all’avere per essere; deve amare Cristo al di sopra di tutto, se vuole vivere sempre e per sempre in Dio. Il cristiano non ha davanti a sé una via diversa da quella di Cristo. Solo assimilato liberamente alla Sua passione, può un giorno partecipare della gioia della risurrezione. Ebbene, le parole che troviamo in questa seconda parte del brano evangelico sono veramente paradossali. Ci mettono in crisi, richiamando le nostre responsabilità di fronte agli orizzonti di eternità. Smascherano le false sicurezze riposte nella cultura del benessere e del potere, ponendoci davanti al giudizio finale sulla vita, quando il Figlio dell’uomo renderà a ciascuno secondo le sue azioni: ”Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?”. Domande brucianti che penetrano nella profondità dell’anima, aprendo lo scenario della fugacità della vita e della fragilità delle cose, con il rischio incalcolabile di scelte sbagliate che possono gettarci nella perdizione. Certamente la via percorsa da Cristo e da Lui a noi indicata non è facile. La porta per la quale siamo chiamati a passare non è larga, ma stretta. E’ un intarsio di sofferenze e di rinunce, che sperimentiamo quotidianamente, fino a provare amarezza per un Dio che prima seduce e poi sembra abbandonarci a noi stessi. Emblematica è la confessione del profeta Geremia nella prima lettura, dove l’amore di Dio viene presentato come un atto di seduzione:” Mi hai sedotto, o Signore – dice il Profeta – ed io mi sono lasciato sedurre”. La consapevolezza di essere amato e di aver corrisposto al suo amore esigente, non lo libera però dal tormento che le continue rinunce e sofferenze gli causano. Anzi, lo affliggono sino al desiderio di ribellarsi e di non essere più un suo portavoce. Ma non lo fa, perché avverte che la parola di Dio, come “fuoco ardente” lo penetra, lo avvinghia nel cuore e nella mente, tanto da dire: ”mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. Quella di Geremia è l’esperienza di una vera crocifissione, che prefigura la sofferenza di Cristo. E come questa consiste nella coerenza di spendersi e perdersi per Dio, sicuro di trovarsi nella gioia del Suo amore. In un mondo dove l’unica misura di valutazione di persone e cose è lo spessore del piacere e della gioia a basso costo, è difficile recepire il messaggio della croce e della rinuncia. Però, se ancora resiste un pensiero di eternità in noi, se ancora Cristo è Qualcuno da amare e da seguire, non possiamo disimpegnarci dalle linee di comportamento da Lui tracciate. Pertanto, svuotarci per riempirci di amore verso Dio ed il prossimo, vivendo lo spirito delle Beatitudini, è e resta la condizione fondamentale per condividere la persona di Cristo nella nostra vita.
Nessuno alza gli occhi al cielo per dire grazie.
Tutti si perdono nelle tue delizie, gustano il sapore del mare e la brezza leggera dei monti, corrono e si divertono, beandosi di quanto hai creato, ma nulla fanno per aprire lo scrigno dell’ anima e slanciarsi in alto, per cogliere il tuo amore di Padre.
Tutto é visto e sentito come dovuto, avvolto nel gioco di tante causalità, che chiudono la porta alla verità, che, se bussata, aprirebbe arcobaleni nuovi, dove ognuno potrebbe incamminarsi e scoprire la fonte di tutte le meraviglie.
Così, mentre osservo dal balcone un brancolare di corpi in acqua e di altri curvi, arrampicarsi in montagna, vedo in una gabbia un canarino, che, a testa alta e senza mai fermarsi, intona una sinfonia di suoni, che sembra supplire il grazie che l’ uomo non sa più dirTi.