Nasce l’amore
Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]
L’ angoscia più grande per un morente è chiudere per sempre gli occhi
senza alcuna speranza di una vita diversa da quella vissuta.
È un mondo che gli precipita addosso nella notte, sigillandolo nei meandri del nulla.
Deve essere una disperazione atroce il sapersi finito, senza neppure una scintilla di luce, che gli sopravvive.
Quell’ onda di tristezza che dipinge il suo volto e ha accompagnato ogni istante di vita, all’improvviso si fa abisso privo di identitá, che ingoia la visione di ciò che è stato.
Non così per chi ha ravvivato il suo tempo nel pensiero dell’ eternità.
Per lui ogni momento che passa, anche se è pieno di tormento e speranza,
non è visto come nemico, ma come amico, perchè, una volta esaurita la clessidra,
gli apre la porta delle sorprese, ossia la bellezza dell’ incontro con Dio.
Non c’ é autorità più costruttiva e feconda di quella che si lascia accarezzare dall’ ascolto e dalla condivisione.
Nasce una convergenza di intenti, un’ armonia di pensiero e di azione che spinge chi comanda e chi obbedisce
a cercare solo l’ interesse di ciò che rappresentano.
Anche se i ruoli e le responsabilità sono diversi, entrambi camminano attratti dallo stesso fascio di verità,
che certamente allarga e consolida la stima e l’impegno reciproci.
Non così, quando le vie dell’autorita si configurano diverse e parallele e, sin dall’ inizio,
si ammantano di luce propria ed assoluta.
Rischiano di non riconoscere a chi le deve percorrere neppure piccoli barlumi di coerenza.
E qui nascono le paure, le diffidenze, i contrasti che indeboliscono ogni comunione ed uccidono
la bellezza dell’ autorità e dell’ obbedienza, che perdono il loro respiro di servizio nell’ unità.
Epifania è una parola greca che significa manifestazione: manifestazione non di qualcosa, ma di Qualcuno; e, precisamente, manifestazione di Gesù come Figlio di Dio e Salvatore al cospetto del mondo intero.Le tre letture bibliche, con perfetta sintonia, evidenziano questo afflato universale di salvezza, manifestatasi agli uomini attraverso Cristo. Il quale non è venuto soltanto per Israele, ma per tutti.Cariche di significato sono le parole del salmo 71:”Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”. Una visione universale del progetto salvifico di Dio che il profeta Isaia, nella prima lettura, esprime in maniera veramente stupenda.Egli descrive la gloria di Dio che risplende su Gerusalemme, la quale diventerà richiamo per tutti i popoli della terra. E lo fa con un linguaggio ricco di imperativi:”Alzati e rivestiti di luce……Alza gli occhi intorno e guarda”. Imperativi che compendiano un accorato invito agli Israeliti ad uscire dalla rassegnazione della sconfitta, a superare gli angusti spazi dei propri pensieri, per ammirare la grande luce, che brilla su Gerusalemme, verso la quale andranno uomini e donne di ogni lingua e nazione. E tutti saranno attratti dallo splendore di questa luce sia gli Israeliti che le nazioni straniere: entrambi accomunati in uno stesso cammino e diretti verso la città santa, la quale, più che risplendere di luce propria, brilla della luce che le viene da Dio.Ci troviamo davanti ad un contesto di vero universalismo salvifico, nel quale si contempla non un’umanità contrapposta, ma unita, senza distinzioni, chiamata alla luce.
Questo tema della salvezza universale è ben sottolineato nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Efesini, nella quale Paolo proclama che il mistero di Dio, tenuto nascosto ed ora svelato, è il progetto di riunire in una sola famiglia, la nuova Gerusalemme che è la Chiesa, tutta l’umanità, essendo tutti, indistintamente, stati “chiamati in Cristo a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo”. La luce che unifica le membra di questo corpo è Cristo; il segno e lo strumento di tale riunificazione è la Chiesa, la quale, come comunità dei credenti, che si è lasciata invadere dalla luce, deve diventare annunzio gioioso del Cristo, centro di irradiazione di salvezza per tutti.
E qui entriamo nel cuore del brano evangelico, nel quale il rincorrersi degli avvenimenti si arricchisce di profondi significati religiosi.Ebbene, la dimensione universale e missionaria della Chiesa, intrinseca alla venuta di Cristo fra di noi, è ben rappresentata dai Magi, la cui presenza costituisce un evento importante nella storia della salvezza, la quale con essi ,venuti da lontano, si dilata, coinvolgendo tutta l’umanità. Al di là del mistero che avvolge la loro identità personale, il luogo di provenienza e lo stesso numero, ciò che colpisce nel racconto dei Magi è il loro cammino di fede che, sotto la guida della stella, li conduce all’incontro con Cristo, luce delle genti.Quello dei Magi è un lungo e faticoso pellegrinare da Oriente ad Occidente fino all’ultimo traguardo: l’adorazione del Bambino Gesù, riconosciuto quale Messia e Salvatore universale.Purtroppo tale cammino si scontra con la incredulità di Erode e della città di Gerusalemme,che alla notizia della nascita del “Re dei Giudei”, cadono in un profondo turbamento.E qui l’evangelista Matteo ci permette di cogliere alcuni tratti caratteristici della fisionomia di Cristo, il quale è sì un Dio venuto in mezzo a noi, ma la Sua persona è racchiusa in un contesto drammatico di contraddizione. Infatti, sulla sua strada non troviamo solo chi Lo cerca per adorarLo, come i Magi, ma anche chi Lo cerca per ucciderLo, come Erode.
Ricerca ed accoglienza da parte dei “lontani”, rappresentati dai Magi; indifferenza o rifiuto da parte dei “vicini”, rappresentati da Erode e Gerusalemme, delineano un tratto veramente sorprendente del volto del Messia: un volto cercato e rifiutato.Comportamenti contrastanti che ripropongono l’antico e sempre attuale problema della fede: questo dono che Dio fa ad ogni uomo, il quale però è libero di accettarlo o rifiutarlo.E questo è il grande mistero che attraversa la storia dell’umanità, sempre con la stessa forza dialettica, perché – ricordatevi – chiunque incontra Cristo o l’adora o gli lancia pietre: non ci può essere alcuna via di mezzo. Chi l’adora diventa rivelazione di Dio attraverso la testimonianza della propria vita. Anzi, un vero incontro di fede si fa subito adorazione e contemplazione.Pensiamo per un attimo al dono della fede, ricevuto dai Magi: esso divenne subito totale ed intelligente adesione al Messia, ma anche chiara testimonianza adorante, espressa con l’offerta dei propri doni: oro, incenso e mirra.Viceversa, chi lo rifiuta o gli lancia pietre rischia di entrare in un meccanismo disumano con la perdita di ogni valore, con la sopraffazione di ogni afflato religioso, morale e spirituale.Ebbene, noi credenti oggi, se vogliamo essere testimoni adoranti, abbiamo una sola via per cercare e mostrare il volto di Dio: cercarLo seguendo la via del bene e della verità; mostrarLo attraverso genuini atteggiamenti di carità e di pace, di giustizia e di perdono.
All’inizio del nuovo anno siamo invitati a celebrare il mistero di Maria SS. Madre di Dio e la giornata mondiale della pace, voluta, sin dal 1968, dal Santo Padre Paolo VI°. Due circostanze liturgiche che si coinvolgono in maniera intensa e profonda, essendo la pace sbocciata proprio nel seno verginale di Maria: da Lei, infatti, è venuto a noi Cristo, il principe della pace.
Relativamente alla maternità divina, puntualizziamo che Maria è la Madre del Figlio secondo la natura umana. Non è madre del Dio unico in tre persone, ma è la Madre del Figlio, Gesù, che è Dio. Questa maternità rispetto al solo Figlio è la ragione sufficiente e completa perché Maria venga chiamata Madre di Dio.
Lei partecipa in silenzio e stupore al mistero di questo figlio, nato da Dio e che non riceve solo per sé, ma per l’intera umanità. Del resto, non c’è maternità che non sia anche un dono per gli altri.
Ed oggi, più che mai, dobbiamo meditare su questo dono di vita, di salvezza e di pace che Maria ha fatto al mondo intero, dandoci Cristo, Suo Figlio.
Ma per il cristiano questa giornata deve essere anche una giornata di preghiera e di impegno per seminare i germi della pace con la parola, con la persuasione, con la pratica stessa della pace.
Gesù insegna che la vera pace non si costruisce con le armi, ma con la riconciliazione dei cuori, con la difesa della giustizia, con il rispetto dei diritti dell’uomo.
La pace non è un regalo, o qualcosa che si può comprare, ma è la somma di tutti i valori umani e a Natale diventa la visibilità, la manifestazione del bene.
Per vivere la pace l’uomo deve disarmarsi, deve liberarsi di tutti i mali che lo tiranneggiano, lo rendono schiavo;in altre parole, deve diventare un uomo nuovo. Solo chi diventa un uomo nuovo, sarà un uomo di pace.
Ma come è possibile diventare uomini nuovi in questo contesto di società, coinvolta in uno smarrimento mentale, morale e religioso, dove tutto si misura sulle cose e nulla o poco sul valore della persona?
Come è possibile progettarsi come operatori di pace, quando in ogni angolo di strada si nasconde un prossimo che ti inganna, ti ruba, ti uccide?
Come è possibile proclamare la pace, quando venti inquietanti si addensano sul mondo che si configura ancora come uno scenario di morte e di desolazione, uno spettacolo di arrivismo e di compromesso, una follia di potere e di sangue?
La pace non è un proposito velleitario, non è un’utopia, ma è una realtà, un dovere, un’esperienza umana, un valore della persona aperta ai valori esistenziali del Vangelo. Essa si realizza là dove c’è un cuore che crede nella vita, che crede nell’amore. E finché al Dio della vita e dell’amore l’uomo risponde con il grido malinconico della morte e del disamore, non vi sarà la pace.
Finché Abele continua ad essere ucciso, trafitto dall’arroganza di Caino, artefice di morte, non si progetterà la pace.
Finché il demone della follia continuerà ad essere presente nel cuore delle madri, che uccidono i propri figli, impedendo loro di vedere la luce o nel cuore di tante persone che abbandonano i figli per semplici calici di nuovi egoismi sentimentali, non si può parlare di pace.
Finché il tarlo del denaro diventa usura a danno del prossimo, nel cuore dell’uomo ci sarà solo guerra. Né si creeranno serie promesse di pacificazione, se i detentori del potere continueranno a chiudere gli occhi di fronte al malessere di tanti giovani disoccupati, che avanzano senza speranze e senza certezze, in cammino verso un futuro senza approdo.
Neppure è possibile ipotizzare la pace, se lo spettacolo dei ricchi continua ad offendere le lacrime dei poveri o il calice della sofferenza continua ad essere bevuto da coloro che non hanno alcuna consistenza sociale.
Finché esiste questo contesto di precarietà, dove ogni cosa si misura sulla convenienza, la pace non si realizzerà mai. E non si realizzerà mai, se coloro che occupano posti di responsabilità istituzionale, politica e sociale, non diventeranno essi stessi uomini nuovi, puliti nella mente e nel cuore, impegnati a costruire seriamente il futuro per le nuove generazioni. Le quali non desiderano promesse inutili, ma vogliono chiarezza, trasparenza, lavoro.
Vogliono una società più onesta, più umanizzata, nella quale per tutti dovrebbero esistere garanzie di libertà, di solidarietà, di occupazione.
L’anno nuovo, che iniziamo, sia per tutti una vera opportunità per gesti di pace e di autentica accoglienza dell’altro; un impegno responsabile a camminare nella luce dell’amore e della vita.
La paura di guardare avanti nasce spesso dalla pigrizia, che frena la voglia di uscire dal mondo del passato.
Preferiamo restare fermi, soddisfatti di ciò che siamo ed abbiamo, eludendo così ogni pensiero di andare oltre.
Viviamo con gli occhi chiusi, come se nulla di nuovo è possibile, attorcigliandoci solo nei circuiti dei ricordi.
Eppure, non c’ è una lezione migliore per ravvivare il presente che quella del passato: un vero intarsio di esperienze,
che certamente apre alle emozioni del futuro.
Anzi il presente, irrorato dal passato, diventa più entusiasmante e ci pone valide basi per costruire un serio domani.
Tu mi domandi: dove sono gli occhi di Dio
quando il mare risucchia donne e bambini
che, lasciati come fagotti sulle carrette
galleggianti, diventano preda delle acque
in vortici di follia, che decretano morti?
Ma io ti chiedo: dov’è l’uomo che baratta
la vita degli innocenti per pochi denari
mercenario che davanti al pericolo fugge
scaricandoli ovunque come futili oggetti
non sempre restituiti dalla pietà marina?
Purtroppo la sorte dell’ uomo non aleggia
più verso il cielo, a cui tendeva le mani
ma spazia sulla terra, dove si è esaurita
nella presa della ricchezza per la quale
sacrifica ogni cosa anche la vita altrui
E tu credi che Dio niente sente o chiude
gli occhi per non vedere: invece Lui è là
piange soffre e il suo è pianto di Padre
che scorre ogni volta che Caino massacra
Abele, eludendo nel cuore la Sua immagine
Egli fa sempre suo il dolore dell’ uomo e
lo vive come un altro calvario, attraendo
a Sé ogni cristo in un abbraccio d’amore
che gli dona nuovi respiri di vita quasi
effluvi di cuore che aprono all’ Eternità
Qui ritrovi i volti crocifissi dall’ uomo
abbracciati non più nella stiva del mare
come ultimo grido dell’ umanità sconfitta
ma nel cuore di Dio, raccolti a uno a uno
e asciugati dal sudario pregno di sangue
Come é difficile ritrovare la propria innocenza in questo mondo, cucito dalla follia delle immagini e delle figure!
Mentre cerchi un pò di luce nel deserto della vita, ti senti all’ improvviso sovrastato da pensieri pesanti,
che la slargano in tante fantasie, foriere di sole delusioni.
Mentre cammini a testa alta, convinto di respirare desideri di verità, ti imbatti in figure ammalianti,
che vibrano sorrisi e sguardi di adesione, prostrando la mente in circuiti di incertezza.
Resta così solo un sogno, appeso al ricordo, l’ innocenza vissuta, che nessuna visione turbava
ed ogni immagine o figura creava solo una poesia di cuore.
Le letture bibliche di questa IV^ domenica di avvento hanno lo scopo di guidarci ad un’attenta riflessione sul mistero di Cristo. Un mistero che, progettato da sempre per la nostra salvezza, viene rivelato nella pienezza dei tempi agli uomini. Giovanni nel suo vangelo scrive:”Dio, nessuno l’ha mai visto, ma il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, Lui ce lo ha rivelato”. Gesù, venendo in mezzo a noi, ha reso visibile il volto di Dio. “E il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”. Il Verbo e la carne, la gloria divina e la sua tenda in mezzo a noi, configurano la vera identità divino – umana di Cristo. Il quale è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi, il Dio che si è fatto umano, il Dio che si è reso incontrabile. Nell’ultima Cena, l’apostolo Filippo si rivolge a Gesù, dicendogli:”Signore, tu parli spesso del Padre. Mostraci il Padre e ci basta”. E Gesù gli rispose:”Filippo da tanto tempo io sono con voi e voi non mi avete ancora conosciuto? Filippo, chi vede me, vede il Padre”. Con tale risposta veniamo introdotti nella “zona-limite” del mistero, rappresentata dall’autocoscienza di Cristo, nella quale Egli non ha alcun dubbio:”Il Padre è in me ed io nel Padre”. L’essenza del Cristianesimo è riconoscere in Gesù il volto del Padre. Pertanto, il mistero del Natale non deve fermarsi alla semplice contemplazione di Cristo, nostro fratello e salvatore, ma deve aprirsi alla scoperta e all’adorazione del Padre. E questo “mistero taciuto per secoli eterni” non viene svelato all’improvviso, ma è portato avanti con i segnali lungimiranti delle profezie. Nella prima lettura, ripresa dal secondo libro di Samuele, leggiamo la profezia di Natan, riguardante Davide, che, durante il suo regno, vorrebbe erigere un grandioso tempio al Signore in Gerusalemme. Ma prima di iniziare la costruzione, si confida con il Profeta, il quale, dopo aver pregato, gli dice che non sarà lui a fare un tempio al Signore; non sarà lui a fare una casa al Signore, ma il Signore farà per lui una casa, farà per lui una discendenza per sempre. Così il profeta Natan respinge l’idea di Davide della costruzione di un tempio di pietre; però gli assicura discendenza stabile, una casa fatta di pietre vive, ossia di persone. Il Messia, che nascerà dalla stirpe di Davide, darà un significato pieno al mistero dell’oracolo del Profeta Natan. Infatti, con la incarnazione del Verbo di Dio, la Vergine Maria diventa la santa dimora che Dio stesso sceglie per porre la sua tenda in mezzo a noi. Diventa simbolicamente la nuova Sion, nelle cui mura non c’è piu’ il tempio di pietra e di legno come quello salomonico, ma il tempio perfetto della carne di Cristo. Nel grembo di Sion, cantava il Profeta Sofonia, “il Signore Dio è presente e il Potente ci salverà” (3,14-17). Nel seno di Maria, la nuova Sion, il Signore crea il suo tempio per entrare in comunione con l’umanità. Cristo è questo nuovo “tempio” aperto a tutti, la cui costruzione inizia nel grembo stesso di Maria, diventato per nove mesi la dimora dello Spirito Santo. Ebbene, il brano evangelico di oggi, già incontrato nella solennità dell’Immacolata Concezione, pur presentandoci, ancora una volta, Maria come destinataria diretta del messaggio divino, ci permette di cogliere, alla luce dell’oracolo di Natan e della profezia di Isaia dell’Emmanuele, alcuni tratti di Cristo, ben compendiati nelle parole di Luca:”Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo Padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe ed il suo regno non avrà fine”. Sono parole cariche di mistero che convergono su Cristo e si riverberano su Maria, rappresentata dall’evangelista Luca, come luogo della presenza di Dio:”Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo”. Il richiamo alla presenza misteriosa di Dio sotto forma di “nube”, prima nella tenda del deserto, poi nel tempio di Gerusalemme; ed ora incombente su Maria, che sta per generare il Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, vuole dimostrare che la nascita di Gesù risale soltanto ad un’iniziativa divina. Non solo, ma sta anche a simboleggiare che Maria è la nuova Sion, nella quale viene costruito il nuovo tempio di Dio, Gesù Cristo. Nel suo grembo verginale il mistero di salvezza, nascosto e taciuto per secoli eterni, grazie al suo “sì”, ora si rivela in pienezza. Vediamo così realizzata la profezia di Natan che capovolge i progetti di Davide e gli stessi progetti di Maria, sconosciuta fanciulla di Nazaret, che, liberamente ed incondizionatamente, aderisce al disegno dell’Altissimo. Vediamo come tutta la rivelazione punti decisamente verso Cristo, che Maria ci mostra quale unica “via” per giungere alla salvezza. Pertanto, tutta la liturgia odierna è un invito a conoscere, a cercare, ad amare il volto di Cristo. Un uomo come tutti gli altri uomini, che nasconde in Sé l’Eternità. Quell’Eternità che ha voluto entrare nel tempo della storia, per elevare la pochezza della nostra finitudine agli orizzonti di ciò che più non muore: la nostra eternità.
A volte mi domando se vale la pena profondere tante energie nella gestione di un ufficio,
quando la malizia di certi buontemponi interpreta ogni impegno come corrispettivo
di interessi particolari.
A cospetto di tanta miseria, la voglia di gettare tutto alle ortiche non manca, ma si arresta
vedendo l’affetto, la stima e, soprattutto, l’ ascolto delle persone perbene, con le quali la reciproca onestà
é il collante dell’amicizia.
E sono proprio tali presenze il ristoro del cuore e della mente.
Anzi, esse mutano in forza quei respiri pesanti di chi cerca di proiettare sugli altri il malessere
delle proprie intime cattiverie.
Ogni volta che condanni l’umanità, perché attraversata da intarsi di cattiveria o abbrutita da tante povertà, faresti bene a chiederti che cosa hai fatto per renderla migliore.
Non é forse vero che il suo tessuto contiene anche gli esseri come te?
È facile, amico mio, predicare la necessità di cambiare il mondo, perché troppo brutto, ma tu poco o nulla fai per essere diverso, per cambiare te stesso.
Ergerti a giudice di ciò che vedi, sciupando il tempo in continue lamentele, come se tutto fosse sbagliato, é la cosa più semplice.
Invece, sarebbe veramente bello rimboccarsi le maniche e, senza essere più spettatore con il dito puntato, sentirsi protagonista, impegnato a diventare un uomo nuovo.