Nasce l’amore
Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]
Più contenitore di banalità che di valori rischia di diventare il nostro mondo,
i cui contorni sembrano patine di resina,che si sgretolano all’ombra del tempo.
Chiunque trova difficoltà ad orientarsi in esso, soprattutto quando la visione
dell’oggi si consuma nel gioco di fragili passerelle, dove conta solo l’apparire.
È deprimente assaporare ogni giorno il vuoto di sè, aperto a sottili delusioni,
che crescono sempre di più, man mano che si perdono i punti di riferimento.
Non hanno il coraggio di cambiare direzione
accendono solo lucciole di speranze,gridano
tanti cammini nuovi,senza mai indicare orme
di verità;fingono,mentre lo Stato precipita
sotto il peso di una locomotiva arrugginita
intasata di letame della politica che muore
della burocrazia che strangola ogni impegno
della magistratura che trasborda dai limiti
della sanità che mangia denaro senza curare
E noi siamo diventati nudi e persino restii
a levare contro di essi la voce di protesta
sapendo che nulla muta per le nostre attese
trafitte dalla sapienza economica che cerca
solo di scrutare le solite tasche,e tutto è
ben misurato per mantenere i loro privilegi
che come gabbiani sornioni su vecchi scogli
difendono,non disdegnando di roteare,quando
gli stimoli della fame bussano allo stomaco
L’Avvento è tempo di speranza, di vigilanza, di risveglio; non è un momento a sé stante, nella ricerca di emozioni da vivere al cospetto di chi ha rivoluzionato la traiettoria della storia umana, ma è un modo di vivere e di pensare secondo Cristo e secondo il suo Vangelo. Così vissuto, l’Avvento è o diventa realmente il paradigma di ciò che deve essere la nostra esistenza. Un’esistenza non chiusa nel torpore delle false sicurezze, ma attenta a cogliere i segni del passaggio del Signore, che bussa alle porte del nostro cuore.
Oggi più che mai dobbiamo sapere chi siamo, dove andiamo; dobbiamo conoscere quale è la nostra speranza. Non possiamo capire la nostra umanità, se guardiamo solo al presente: noi siamo proiettati nel futuro. Ed è solo questo futuro che ci manifesta chi siamo. L’Evangelista Giovanni dice:”Carissimi, fin d’ora noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è” (Gv. 31-5).
Parole audaci che esprimono la nostra eredità futura: la divinità di Cristo Salvatore sarà intimamente connessa con la nostra divinizzazione di salvati. Ed in questa intimità, e solo in essa, sapremo chi realmente siamo. Abbiamo quindi bisogno di trascendenza, di eternità: qualsiasi altra speranza che non sia eterna, ci risulta, infatti, menzognera. Solo la fede nella eternità riunisce presente e futuro; essa trascende l’istante, ma, nello stesso tempo, gli dà un valore immenso; per cui tutti gli istanti vissuti in grazia di Dio, rientrano nell’eternità. Allora, se siamo fatti per la eternità, per incontrarci un giorno con il Signore, non ha senso costruire qui, su questa terra la grande torre di Babele, fonte di confusione e di disfattismo; né ha senso alcuno farsi la piccola torre di avorio, nella quale gustare la propria ingordigia, dimenticando quanto Gesù dice:”A che serve guadagnare il mondo, se poi perderai l’eternità?”.
Di fronte alla caduta di tante speranze apparenti, che per secoli hanno costituito la fragile torre di Babele, come il marxismo, proiettato in un futuro immaginario e dannoso; oppure l’edonismo, immerso in un presente senza futuro, sfuggente che sbocca nel nulla, abbiamo bisogno di una speranza che non inganna. Non possiamo fermarci a guardare sorpresi la segnaletica della morte, dubbiosi che la vita non sia altro che una sua variazione, e, quindi, un non senso. Non possiamo vivere senza speranza, anzi abbiamo bisogno di sperare, se vogliamo sopravvivere. Nella provvisorietà delle cose, nella fragilità di quanto ci circonda, c’è una sola speranza che non inganna: è Gesù Cristo, il quale nel Vangelo odierno proclama:”la vostra liberazione è vicina”. Una vicinanza temporalmente indeterminata, che ci deve coinvolgere in un’attesa vigile, operosa che parte dalla Sua contemplazione e discende sul versante della nostra quotidianità. E’ Lui, Gesù Cristo, la pietra angolare sulla quale possiamo e dobbiamo progettare e realizzare l’edificio della nostra liberazione: una liberazione che agisce nella profondità dei cuori e ci converte alla speranza vigilante. Vigilanza per non cadere in “dissipazioni, ubriachezze ed affanni della vita”, e per essere sempre desti, vegliando in preghiera, preparati all’avvento di Gesù che salva; vigilanza in cammino sulla strada giusta della verità, per non sbandare nel deserto, nella oscura notte dei dubbi; vigilanza per non cadere nella ragnatela della superficialità, convinti di essere in attesa non di qualcosa, ma di un evento, di un giorno, di una persona: Lui, Gesù Cristo, il punto di riferimento delle nostre piccole e grandi scelte, il ponte tra l’aldilà che ci aspetta e l’aldiquà che viviamo come pellegrini, mendicanti del Cielo.
Quando il tempo fugge velocemente e tu nulla hai saputo trattenere,
nemmeno briciole di ricordi,
fermati per vedere se nella penombra della vita, trovi ancora qualcosa
che ha il respiro del rimpianto.
E se l’ hai amata anche per un istante, guardati nello specchio dell’ anima
e scoprirai che i tuoi occhi brillano e rivelano il dolore della sua mancanza.
più cresce in me la nostalgia
di Dio,più tenta di affermare
il dio panteistico di Spinoza
più vedo la Voce che mi grida
ad andare Oltre,più si dimena
a definire i credenti cretini
illetterati,più stima i fatti
del mondo misura per definire
la sua fede o l’anima termine
brutto e i misteri della fede
un grugnito senza significato
più io con decisione desidero
varcare la soglia del mistero
ove gusto la Verità incarnata
il Verbo di Dio che abbraccia
mi sostiene con pane spezzato
rivelandosi notaio dell’anima
che segna ogni giorno l’amore
orante e donante anche per te
Odifreddi,che vivi il fascino
della Natura in identità vera
con la divinità e non ti vedi
che sei un brancolare incerto
verso quell’Oltre che stracci
nelle tue esegesi,che gridano
un credo dove Dio è la Natura
e la morte l’approdo al nulla
Pur rispettando quel che dici
nella tua libertà di ateo, che
non elude la farsa del divino
non capisco la cattiveria che
serpeggia nei gesti, le parole
e perfino in volto,ogni volta
che i cristiani e la chiesa e
il papa vengono solo sfiorati
Come una lucciola in transito
diventi intarsio di tenebre e
di luce,scivolando nel dirupo
che solo uno sciocco plauso e
la voglia di consensi possono
spiegare,ma non giustificarti
A volte mi chiedo se sei vero
e lo stesso,quando sei solo e
navighi con i pensieri,strali
che penetrano in profondità e
dicono da dove vieni, dove vai
chi sei: proprio qui io vorrei
sapere se quello che scrivi e
predichi è la verità che vivi
anche in te o la maschera che
vesti come canovaccio di arte
In giro c’ è una grande superficialità, che non disdegna di toccare qualsiasi dimensione sia sociale e morale che religiosa.
Così, è facile, oggi, vedere chi proclama di avere una o più etichette di appartenenza, senza alcuna esperienza di quanto vorrebbe attribuirsi.
Si illude di avere una tessera o qualcosa altro, solo perché si interessa o crede in qualcuno.
Incredibile, se si consideri che ogni appartenenza presuppone un vera storia, nella quale bisogna vedersi e leggersi, per ricavarne la propria carta di identità.
Aldilà degli spazi che il mondo offre e nel quale troppe sono le occasioni per definirsi etichettato, è opportuno sottolineare, nell’ambito della fede, il comportamento di chi si dice cristiano senza avere una vita veramente cristiana.
Anzi, per molti basta una semplice dichiarazione di fede in Dio, un segno di croce, per potersi dire cristiano, anche se nel cuore e nella mente, non c’è nulla che si chiama Chiesa.
Invece, per essere un vero cristiano, è necessario avere un nome ed un cognome.
Il primo è : ” io sono cristiano “.
Il secondo:” io appartengo alla Chiesa “.
Il che significa che la vera identità è l’ appartenenza alla Chiesa, l’ essere parte di un popolo, di una grande famiglia, che lo fa cristiano nel momento del battesimo e nel percorso della vita con catechesi ed insegnamenti, che trasmettono il contenuto della fede e fanno crescere come cristiani.
Perciò, è per nulla veritiero chi dice di credere in Dio ed in Gesù, senza avere alcun interesse verso la Chiesa, quasi proclamando un rapporto personale con il divino, del tutto disincantato da Essa.
Nessuno diventa cristiano da sè.
Non si fa alcun cristiano in laboratorio.
Si diventa cristiano solo nell’appartenenza alla Chiesa, il cognome nel quale si arricchisce e si alimenta la propria identità..
Giorno dopo giorno, senza mai stancarsi l’uomo violenta la natura, non solo per prendere il meglio, ma anche il superfluo.
Mai si ferma al necessario.
Anzi, illudendosi che le risorse non finiscono mai, continua il suo brigantaggio,coagulando ogni cosa per pochi privilegiati, a dispetto di tanti, ai quali non sono concesse neppure le briciole.
Ieri ho messo davanti a cani e gatti tanta carne: hanno mangiato solo il necessario. Alzando lo sguardo, ho visto uccelli e farfalle fare la stessa cosa.
E così gli altri animali.
Solo i maiali hanno esagerato, però senza sperperare.
Un esempio stupendo che la natura dona all’uomo e che l’ uomo non sa imitare, prigioniero della sua ingordigia.
Ma quando le risorse finiranno, che sará di questa umanità, che sta divorando il necessario, il meglio e il superfluo?
Nella Banca del cielo ognuno ha un conto corrente, nel quale sono scritte le cifre accumulate durante la vita.
Non tutte, però, hanno uguale tonalità: infatti, alcune sono un intarsio di debiti, altre uno scrigno di crediti.
Le prime sono le monete del mondo, il cui contrassegno, fatto di sole parole ed apparenze, ha perduto ogni potere di acquisto.
Le seconde, invece, che portano ancora in sé l’ immagine di Dio, sono ricche di interessi ed aprono il ventaglio della salvezza.
Cristi stracciati dalla fame avanzano
senza bisacce su battelli sgangherati
sicuri di cercare una fortuna diversa
invece si ritrovano senza meta sparsi
qua e là come pesci morti alla deriva
ove un epitaffio ne ricorda il colore