Nasce l’amore
Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]
Quando Dio irrompe nel cuore della nostra vita,
aprendo la resistenza delle tenebre alla luce
e noi ci facciamo trovare disponibili all’accoglienza,
abbandonandoci all’ azione del suo Spirito,
diventiamo realmente nuovi.
Non più fasciati dalla coltre della fragilità,
che ci prostra ad ogni tentazione, ma ricreati dal suo amore,
che ci proietta in orizzonti di trasparente umanità,
in aperta linea di adesione alla sua volontà.
E siamo veramente nuovi.
Non ragioniamo ed agiamo più secondo gli schemi,che il mondo offre,
piegandoci al suo spirito,
ma ci muoviamo secondo il pensiero e le vie di Dio,
che ci orientano alle cose di lassù.
Io so che Tu
mi vuoi bene;
anche se non Ti vedo,
lo sento,
soprattutto
quando cade la sera
e sto solo
con i miei pensieri.
Tu non parli,
ma io ascolto
il tuo silenzio,
effluvio di parole
indicibili,
che scorre
nel profondo dell’animo.
Come Te
anch’io non parlo,
ma in estasi
mi apro al tuo cuore,
dove trovo
parole d’amore,
che scrivono il nome
con cui Tu
da sempre
mi chiami.
Tutti noi siamo vasi d’argilla,
fragili e poveri,
nei quali c’è il tesoro immenso che portiamo.
Oggi l’uomo è “troppo” impegnato nel confrontare la propria
persona con i soliti “modelli sociali”,
piuttosto, che nel cercare di accrescere il proprio “talento”
assegnatogli da Dio.
Ognuno dovrebbe provare,
o almeno tentare, di RICONOSCERLO.
A cura di Giordano Giulia
In me non mancano zone di incredulità, la cui scoperta,
anche se mi sorprende, non abbassa il desiderio di Dio,
che in esse mi nasconde il suo gioco per farsi cercare.
Ed io sto al gioco e senza acuire oltre il mio ingegno,
Lo trovo sempre nella lacrima che asciugo, nel sorriso
che faccio sbocciare, nel vecchio che guardo e consolo
Il silenzio e l’ascolto sono diventati un pò stranieri al Natale,da molti ridotto ad una festa di chiasso e di consumo,
dove l’unico assente risulta proprio il Festeggiato.
Tutto si muove e vive nell’ebbrezza di moine e di regali,nulla invece vibra nei cuori,
che restano sordi ad ogni Voce del divino che viene.
È la storia di Dio che l’uomo, prigioniero dei suoi capricci,tradito dal vuoto delle apparenze,
che intenebrano la sua vita,svilisce in poche emozioni,che durano semplici istanti,
sospesi solo al ricordo di un fatto passato.
Ma Dio,nonostante tutto,continua a tracciare strisce d’amore,che suonano come invito ad aprire la porta del cuore,
alla quale mai smette di bussare.
Siamo qui,intorno all’altare del Signore,non per ascoltare una fiaba o per fare memoria di quanto accaduto 2000 anni,ma per sentire la storia della verità di Dio,che dopo aver parlato a più riprese ed in tempi diversi,adesso ha voluto rivelarsi definitivamente nel proprio Figlio.
Pertanto,Colui che è nato non è soltanto un uomo.
E’ sì un uomo,ma è anche Dio,è l’Emmanuele,il Dio con noi,che ha voluto condividere se stesso con la nostra storia. Lui che è al di sopra ed al di fuori di noi,è diventato simile a noi,facendosi uno di noi.
Così,oggi noi contempliamo l’avvento di Dio,del Dio vivente che liberamente si dona a noi per incontrarsi con ciascuno di noi. Ed è proprio in questo incontro tra Dio e noi,tra Cristo e noi,che nasce il vero Natale.
Se tale incontro non si verifica,il Natale diventa una semplice emozione,una circostanza che può generare in noi la nostalgia di essere più buoni,ma non offre alcuna possibilità di approfondire il mistero di Dio. Perciò,un natale che non crea validi supporti per liberare il proprio sguardo verso il cielo,non è un vero natale.
Un natale che non produce il fascino di Dio,non è un vero natale. Un natale che non diventa desiderio di ripresentare Cristo nella propria vita,non è un vero natale. Un natale che non trasforma l’odio in amore l’egoismo nella solidarietà,non è un vero natale.
Un natale che non muta la disperazione nella speranza,che non spinge a tendere le mani verso gli ultimi,non è un vero natale. Viceversa,ogni volta che il cuore dell’uomo si apre all’altro ed il prossimo diventa oggetto di accoglienza,allora è natale. Ogni volta che il pianto della miseria viene asciugato con la dolcezza della carità,allora è natale. Ecco perché il Natale segna il trionfo della luce in un mondo di tenebre;è proclamazione
della vita contro ogni logica di morte;è certezza unica capace di dare un fondamento di validità alle nostre speranze che spesso tendono a rivestirsi di illusioni.
Tutto ciò sta a significare che il Natale di Cristo non è un qualsiasi evento storico,oggetto di studio e di cultura,ma è LA NASCITA DI UN NUOVO PROGETTO DI UOMO,CHE VIENE A CAPOVOLGERE OGNI PARAMETRO DI GIUDIZIO,PREFERENDO L’INSUCCESSO AL SUCCESSO,L’UMILTA’ ALL’ARROGANZA DELLA SUPERBIA.
Ma entriamo nel cuore di questo evento di salvezza,dove la nostra attenzione viene attratta dall’atteggiamento di accoglienza e di disponibilità dei pastori,i quali si portano senza indugio nel luogo indicato loro dall’angelo.
Contempliamo per un attimo questo evento,dove la visione dell’accadimento è assorbita da una scena di miseria e di disagio:”un bambino avvolto in fasce,che giace in una mangiatoia”;dove lo sguardo discreto e pensoso di Maria e Giuseppe davanti al mistero di Cristo,si illumina, proiettando orizzonti di sicura salvezza.
E’ la storia di Dio che nasce nella semplicità di una famiglia,in una abitazione di fortuna. E’ la storia dell’Eterno che pianta la sua tenda in mezzo a noi,non scegliendosi come amici sapienti ed intelligenti,ricchi e notabili,ma uomini dal cuore semplice,pastori e pescatori,,i quali per primi annunziano il fatto più sconvolgente mai accaduto:un Dio è nato per noi. E nasce per noi,perché non sa vivere senza di noi:siamo il vertice del suo amore.
Nel Natale,infatti Egli rivela se stesso non nella potenza,ma nell’amore:”Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. E’ il suo cuore che si apre al cuore dell’uomo:perciò,dietro quella scena del presepio troviamo in maniera visibile la tenerezza di Dio,che si cala come padre e madre insieme sul cuore di ciascuno di noi.
Davanti a questa rivelazione di amore infinito,quale deve essere la nostra risposta? Quale deve essere il nostro atteggiamento?
Sono forse sufficienti le semplici emozioni derivanti dalla contemplazione di un bambino avvolto in fasce nella mangiatoia? Certamente no.
Il Natale esige un cambiamento di vita e di mentalità,che non può risolversi in semplici emozioni né in semplici propositi velleitari;il Natale esige una presa di coscienza di quei valori umani e cristiani che purtroppo abbiamo smarrito;esige una visione sostanzialmente nuova della realtà non più strumentalizzata ad idolatrare il proprio ”io” oppure ad accrescere il proprio “avere”,ma a qualificare il proprio essere,la propria persona in relazione a Dio e al prossimo.
Ma noi come viviamo il Natale?
Anzi,come ci siamo preparati al Natale?
Abbiamo svuotato il nostro cuore per renderlo degna dimora di Dio? Oppure ci siamo fermati alla soglia di questo evento storico,riducendolo a semplice occasione di consumismo? L’impressione è che molti cristiani ancora non hanno gustato la profondità del mistero del Natale,perché ancora non hanno compreso la vera identità di Gesù Cristo.
La domanda che Gesù,2000 anni fa, pose ai suoi ascoltatori e ai suoi discepoli:”chi dice la gente che io sia … e voi chi dite che io sia” è ancora di grande attualità. Soprattutto oggi,che siamo diventati quasi stranieri a Dio e ci ricordiamo del suo Cristo solo nelle grandi solennità,come il natale. E in questi ricordi ci illudiamo di racchiudere la nostra fede,che si delinea come una etichetta di appartenenza,ma non di familiarità con Dio e con Gesù Cristo. Se noi conoscessimo veramente chi è Cristo,la nostra vita cambierebbe,come cambiò la vita dei suoi discepoli e di coloro che lo conoscono.
Pensate per un attimo al Prologo di Giovanni:”In principio era il Verbo,il Verbo era presso Dio,il Verbo era Dio…tutto è stato fatto per mezzo di lui…e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste… E il Verbo si fece carne”.
Ecco la verità di Dio…Ecco la verità di Cristo,il Verbo di Dio,che preesiste alla creazione e che da sempre è Dio. E questo Verbo che era presso Dio e che si fece carne, è realmente Gesù,nato da Maria Vergine.
Nella incarnazione di Gesù la rivelazione raggiunge la sua pienezza,la sua definitività.
Pertanto, il Verbo è la Parola eterna definitiva che Dio dice all’umanità.
Parola che Dio esprime nella bellezza della creazione;che Dio comunica agli uomini nella storia della salvezza; Parola che si è fatta Uno di noi,diventando in Cristo un uomo,nato da donna.
Oggi,Natale, questa Parola,questo Verbo eterno si è fatto piccolo,così piccolo da entrare in una mangiatoia.
Si è fatto bambino per essere afferrabile.
Adesso,questa Parola,il Verbo, non solo è udibile,non solo possiede una voce,ma ha anche un volto,che possiamo vedere:il volto di Gesù di Nazareth.
Allora possiamo capire chi è veramente Gesù.
Chi è che venuto in mezzo a noi.
Certamente non un semplice uomo,ma il figlio di Dio e,quindi,Dio stesso che ha preso la nostra natura umana.
E noi ancora non Lo conosciamo,perché Lo vogliamo trovare là dove non c’è.
Invece,la sua caratteristica per farsi conoscere non sta nella grandiosità delle cose,ma nella loro debolezza;non sta nei palazzi del potere, ma nelle abitazioni di fortuna;non sta nelle meraviglie che ci circondano,ma nella povera gente,nei volti stracciati dalla miseria ed abbandonati lungo i bordi delle strade:”Avevo fame …l’avete fatto a me”.
Sono parole dure pronunciate contro tutti coloro che restano indifferenti al cospetto degli ultimi;di coloro che non sanno leggere nel prossimo il volto della misericordia di Dio.
Ricordiamoci che l’essenza del Natale sta solo nel sorriso dell’accettazione e della donazione;nello sguardo della comprensione e dell’amore;sta in tutte quelle riserve di carità che noi sappiamo donare agli altri.
Purtroppo,dopo 2000 anni,il Natale sembra solo un episodio della storia,capace di generare tante emozioni,ma non il richiamo a Dio e al suo Cristo. Ed è proprio questa mancanza di Dio nella società che apre lo spettacolo di tante atrocità.
E noi assistiamo a queste scene come spettatori di telenovele,conquistati più dalla curiosità di scoprire gli autori dei delitti che dalla tragedia di una vita sciupata o uccisa dalla follia umana.
E poi ci definiamo cristiani.
Invece non lo siamo. O forse siamo i cristiani delle emozioni natalizie. Alla luce di quanto proclamato,io dico a tutti,a me e a voi:svegliamoci da questo letargo spirituale,liberiamoci dalla prigione del male che ci sovrasta,ed apriamo il nostro cuore a Dio e al suo Cristo,che nasce per renderci belli e buoni,per farci suoi familiari. Dio si fa uomo,perché l’uomo diventi Dio. E proprio in forza di questo mirabile scambio che Dio si rende simile all’uomo,perchè l’uomo possa riacquistare l’immagine di Dio.
Qui,in questo scambio,è tutto il mistero del Natale.
Un mistero che,se noi lo viviamo con fede,ci renderà uomini nuovi,portatori di carità e testimoni di solidarietà.
Questo è il cammino per capire il Natale.
Questo è il modo per vivere seriamente il Natale.
Molti preti credono che la Chiesa cresca con i megafoni, che annunciano novitá sempre piu esplosive o con il porta a porta,nell’intento di cercare proseliti, onde incrementare il numero degli iscritti.
Oppure pensano che aumenti la sua carica di attrazione, trasformandola in un circolo sociale o in una specie di agenzia per viaggi religiosi, spesso riducibili a sole potenzialità di profitto.
Ebbene, la Chiesa non può perdersi in questi meandri di chiasso, di fragili contingenze, che nascono e muoiono senza orme di sequela e tantomeno può illudersi di fondare il suo cammino, facendosi soggiogare dal mercato delle parole o delle iniziative.
La chiesa, se vuole veramente crescere, deve uscire da sè, dai suoi vecchi palinsesti del dovuto, che la rendono triste ed antipatica.
Deve riappropriarsi della bellezza del suo ruolo di madre, troppo trascurato.
Deve spalancare la porta del cuore all’ascolto e all’accoglienza di chiunque bussi, dando a tutti quella tenerezza, che la fa sempre più giovane e vogliosa di essere conosciuta ed amata.
La Chiesa può crescere e crescerà solo con la forza della caritá, con il fascino della sua maternità, con la gioia della testimonianza, mai stanca di mantenere la porta d’ingresso aperta a tutti,senza alcuna distinzione.
Siamo giunti alla IV^ ed ultima domenica di Avvento. Le letture bibliche, attraverso una cornice di povertà e di umiltà, presentano alla nostra attenzione, le figure fondamentali del grande evento della salvezza: Gesù e Maria.
Nella prima lettura Michea, un profeta contadino vissuto nello stesso periodo di Isaia, preannuncia la nascita del Messia:”E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele”. La scelta di tale località, terra povera ed insignificante, ha un duplice significato: da una parte, il profeta la vede come contrapposizione ad una Gerusalemme, in apparenza sontuosa e splendida; ma in realtà corrotta e decaduta nel vizio: una visione di città peccaminosa alla quale egli lancia la sfida della speranza liberante e salvante, preannunciando la venuta di Gesù, Pastore destinato a guidare il popolo verso la pace e la salvezza. Dall’altra parte, con questa scelta il profeta apre ai poveri, ai giusti e agli stranieri un orizzonte di luce e di speranza.
Ma il Cristo e Maria, sua madre, sono presenti in modo particolare, nel canto profetico di Elisabetta, che raggiunge il culmine, quando, rivolgendosi a Maria, dice:” Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”.
Elisabetta, piena di Spirito Santo, esalta e loda la fede di Maria; insieme condividono la gioia di ciò che sanno, di ciò che hanno capito, di ciò che hanno creduto. E’ un contesto di grazia, soffulto dallo Spirito di Dio, che illumina tutto l’incontro ed introduce nella gioia della salvezza, che Maria oramai già porta nel suo grembo.
Ma approfondiamo insieme il canto di Elisabetta che si apre con una vera benedizione:”Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Questa benedizione, entrata nell’Ave Maria, è la preghiera più mariana fra quelle che recitiamo; e, nello stesso tempo, è una preghiera profondamente cristocentrica. Con essa Elisabetta non solo celebra la maternità divina di Maria come il segno più sublime della benedizione di Dio; ma riconosce anche, mediante l’illuminazione che le viene dalla fede, che Maria appartiene al piano salvifico di Dio ed al mistero di Cristo.
Ci troviamo di fronte ad un evento straordinariamente entusiasmante, manifestato in un dialogo di semplicità e di disponibilità, che presuppone in Elisabetta la certezza profetica dell’avvenuta realizzazione di quanto l’Angelo Gabriele nell’Annunciazione aveva detto a Maria:”Lo Spirito Santo scenderà su di te”, “concepirai un figlio e lo darai alla luce”. Il che significa che il brano evangelico dell’Annunciazione si raccorda con questo della Visitazione, perché alla base della benedizione di Elisabetta sta la conoscenza della divina maternità di Maria:”A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”.
Benedizione e conoscenza della maternità divina fanno da corona alla beatitudine che Elisabetta esprime per Maria, la quale è beata non solo perché genera fisicamente Gesù:”beato il ventre che ti ha portato!” – dirà un giorno una donna a Gesù; ma è beata anche per la sua fede:”beato chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica”, risponderà Gesù.
Benedizione e beatitudini sono collegate tra loro dalla intimità della fede, che ci permette di gustare il vero ritratto di Maria: la credente per eccellenza. La quale, con gioia ed esultanza, con umiltà grande, eleva a Dio il suo Magnificat per le meraviglie in Lei compiute:”L’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”.
Disponibilità ed affidamento totale sono la vera grandezza di Maria, la quale non subisce la volontà di Dio, ma si lascia da Lui guidare, non solo accogliendoLo, ma consumandosi con Cristo per la nostra salvezza. Una disposizione d’animo questa necessaria anche per noi, se vogliamo che il prodigio della nascita di Gesù si verifichi nei nostri cuori.
Finchè i sogni dipingono di colori la vita, senza mai dare possibilità di vedersi già vecchio, nulla appare pesante e tutto viene visto come sereno intarsio di novità.
Persino le rughe, che raccontano il tempo passato, strisciano, invece, sul volto un presente interessante, che vivacizza l’ esistenza e le genera la voglia di guardare sempre oltre.
Chi sogna, non ha paura dell’ età cronologica nè di qualche acciacco, purtroppo sempre ricorrente; neppure si lascia abbagliare dal fatalismo della morte.
Sognare è come un continuo aprire le ali nell’ orizzonte di nuove speranze; è un attingere effluvi di fantasia, che permettono di dimenticare la realtà di tutto ciò che è fragile.
È come uno stare al di fuori della ragnatela, intessuta dal quotidiano, e sentire ancora l’ ebbrezza del vivere, che assapora, aldilá del tempo, briciole di freschezza.
Mentre sulla spiaggia ognuno si lascia
vezzeggiare dal sole e le onde giocano
baciandosi o scontrandosi per la gioia
di chi nel risucchio prende freschezza
mentre grida inconsulte si intrecciano
con suoni non sempre graditi all’udito
e tanti sciorinano l’estetica bellezza
con stime appese al ridicolo o al vero
si vede galleggiare una sagoma di uomo
che si fa sempre più uomo man mano che
le onde,cullandolo,lo depongono a riva
con il viso senza rughe volto al cielo
Neanche la sua giovinezza genera pietà
o un tantino di umana curiosità,ognuno
gioca rincorre l’amico senza sbirciare
quel fagotto di carne non più fastidio
Tanto sa dispensare l’uomo di oggi,che
forse non avendo più nulla nel cuore e
nell’anima,si fa attore d’indifferenza
bruciando le lacrime che la morte dona