Nasce l’amore
Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]
Viviamo in un mondo che ama più l’ ipocrisia che la sincerità, più l’ apparenza che la realtà.
E quanto più raffinate sono le forme dell’ ipocrisia e dell’apparenza, più ci consoliamo nel crogiuolo del chiasso e della baldoria.
Eppure, non c’ é nulla di più dissacrante dell’ ipocrisia: la maschera dietro cui nascondiamo le verità, preferendo ostentare davanti a noi, con gesti e parole, quelle false certezze, che ci elevano a veri attori.
Così non siamo più noi.
Anzi, siamo recipienti vuoti, che cerchiamo di riempire con i surrogati artefatti, che altri preparano, rischiando, alla fine di ogni sera, una volta caduta la maschera, di sperimentare la nostalgia della sincerità.
Siamo diventati un pò tutti profeti,però
senza luce,essendo presi solo dalle cose
dalle illusioni,che regaliamo abbondanti
Siamo andati al di là del nostro cerchio
di normalità,facendoci latori di confusi
sogni deliranti fiabe che subito muoiono
E mentre apriamo le porte di falsi cieli
dove troppi attratti cercano di navigare
udiamo la speranza che geme negli ultimi
Quelli delle periferie per i quali notti
e giorni scorrono uguali in una tempesta
di lacrime che si veste di vera profezia
Non so perché continuo a cercarti come un bambino,
che non vede altra via, eccetto quella della casa.
Sei sempre presente.
Anche se assorbito dalle preoccupazioni del tempo,
mai manca la tua immagine,
che si insinua spesso persino nei pensieri deboli.
E sono contento di avere in tanta fuliggine umana
la cornice del tuo volto, dove lascio i frammenti
del mio cuore, appeso alla memoria della tua vita.
La II^ domenica di Quaresima ci presenta una scena che, a prima impressione sembra contrastare con il cammino di purificazione e di conversione, proprio di questo periodo liturgico. Invece, in approfondimento, ci permette di gustare a fondo il significato della quaresima, proiettata verso la Pasqua.
Ebbene, prima di entrare nella semplicità e nella bellezza del racconto, visto quale preludio della Risurrezione, è opportuno considerare che il suo contesto in tutti e tre gli evangelisti: Matteo, Marco e Luca, è preceduto dall’annunzio che Gesù fa della Sua passione e morte. Un annunzio che crea scandalo e sconforto negli apostoli, che, come tutti i giudei, vedevano in Gesù il Messia del trionfo politico. Se grande fu la delusione degli apostoli, i quali sperimentano la caduta delle attese messianiche, più grande fu la preoccupazione di Gesù, nel prepararli ad aver fede in Lui, il quale non sarà solo il disprezzato, lo sconfitto, ma anche il Figlio prediletto, Colui, cioè, che vincerà il male e la morte. E questa preparazione Gesù la compie attraverso l’esperienza del silenzio e della preghiera, che offrono l’orizzonte spirituale più adeguato, in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza del mistero, può delinearsi la manifestazione della Sua divinità:”Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il Suo volto cambiò d’aspetto e la Sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con Lui: “erano Mosè ed Elia……parlavano della Sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”.
Al di là di tutti gli ingredienti narrativi che evidenziano, in maniera solenne, la rivelazione della divinità che avvolge Cristo, verso il quale convergono i profeti e la legge dell’Antico Testamento, rappresentati da Elia e Mosè, è necessario sottolineare l’insistenza del verbo “pregare”, che vuole indicarci che solo la preghiera, intensa e profonda, trasfigura la persona di Gesù. Una trasformazione che ci riguarda direttamente, nella misura in cui la nostra preghiera è altrettanto profonda ed intensa. E’ nella preghiera che noi sviluppiamo il dialogo con Gesù, fino ad entrare nella sua familiarità:”rimanete in me ed io in voi” (Gv,15,4). Una reciprocità che ci apre, attraverso di Lui ed in Lui, alla contemplazione del volto del Padre. Il cristiano che intraprende il cammino quaresimale, non può non sapere che tutte le possibilità di trasfigurazione della sua vita, diventano reali solo alla luce della preghiera.
Pertanto, ricorrere alla preghiera nei momenti di crisi e di sofferenza, oppure quando l’impatto con il futuro si riveste di pesantezze, non è un fuggire dalla consapevolezza della realtà, ma è fiducia incondizionata in Dio, al quale apriamo il nostro cuore in un dialogo personale, che diventa non solo implorazione di aiuto, ma anche rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, fino ad un vero invaghimento del cuore:”tu mi hai sedotto, o Signore – dice il profeta – ed io mi sono lasciato sedurre”. In altre parole, pregando, noi sperimentiamo di essere veramente nel cuore di Dio, vibranti al tocco del Suo Spirito, filialmente abbandonati al Suo amore di Padre. Solo pregando, possiamo cogliere il Suo mistero e testimoniarlo agli altri; possiamo gustare la gioia della nostra identità filiale ed aprirci agli orizzonti della solidarietà, della carità e della giustizia. Il che significa che chi prega non può chiudersi nella tenda della contemplazione, disincantato dal mondo, quasi fermo sul versante del proprio egoismo. Il Tabor, che ci trasfigura, deve confrontarsi con la notte della sofferenza quotidiana, con la visione umana, che ci circonda, con le povertà antiche e moderne, che ci assillano. Una preghiera che non diventi esperienza personale, che non si eserciti e non si viva è puro concettualismo, che affievolisce la fede, con il rischio di renderci cristiani mediocri. Una preghiera che non ci metta contemporaneamente nella condizione di assaporare la tenerezza di Dio e mostrarla agli altri; di scoprire il Suo volto nei nostri fratelli, non è vera preghiera. E’ solo il fascino di un surrogato, incapace di riempire la nostra vita. Eppure, oggi più che mai, smarriti come siamo, sospesi a mille luci di interessi, sempre in cerca di novità che ci portano a falsi innamoramenti religiosi, abbiamo bisogno non tanto di parlare di Dio, ma di parlare in Dio, cioè pregare con quella fede vera, che parte dalla Sua contemplazione e discende sul versante della nostra vita, trasfigurandoci come uomini e come cristiani.
Una vita senza rischio è un limbo, dove tutto è sospeso e tutto è senza alcuna identità di futuro.E’ come un sentirsi uccello, ma non avere le ali per volare. Un conoscere tante canzoni e non avere la voce per poterle cantare. Chi non ama rischiare, è destinato a mutare la vita in una sorta di monotonia, in una povera recita sugli stessi canovacci di mediocrità. Chi rifiuta il rischio, anche il più insignificante, sotterra tutte le possibilità di crescita. E’ come chi, per paura di perdere l’unico talento che ha, lo nasconde nel proprio scrigno, non considerando che, a distanza di tempo, esso perde del tutto il suo valore di acquisto, per avere solo quello nominale. Ciò che è vita ha sempre in sé onde di rischio. Sono la sua bellezza e racchiudono quelle spinte interiori, che danno veramente la voglia di vivere. Perciò, è necessario rischiare, ricordando sempre che ” sulla terra l’ essere che corre meno rischi – come dice Gustave Thibon – è l’essere più vicino al nulla: chi non rischia nulla, è nulla”. Se non si vuole rendere ” nulla ” la stessa società, e, quindi, trasformarla in un cimitero, ognuno deve imparare a saper rischiare. Senza mai dimenticare l’ esempio di Cristo, il quale ha vinto, perché ha rischiato tutto per gli altri.
Anche se cerchi di brillare di luce propria, ti senti sempre sospeso al giudizio degli altri.
Pensare ed agire sono troppo condizionati dagli ingredienti esterni, per cui non sempre ciò che fai, é frutto di volontà.
La paura di vedere offuscata la propria immagine, di sentire un frasario negativo sulla propria persona è il tarlo, che incide fortemente ogni forma di creatività.
Soprattutto, indebolisce la libertà, che, non riuscendo ad esprimersi, si adegua al mondo degli altri.
E qui nasce l’ipocrisia nelle sfumature più varie, che dipingono, sul palcoscenico della vita, sorrisi di assenso o dissenso, non fatti per convinzione, ma solo per opportunità.
Nascondiamo tra di noi
il tempo della verità
fingendo età diverse
stiracchiate ovunque
e non ci rendiamo conto
che nei volti di ognuno
l’orologio batte le cifre,
rivelando le ore della vita.
Stasera sono troppo triste: vedo cadere
ad una ad una ogni speranza ogni sogno
mi svuoto come un recipiente e asciugo
ogni goccia tanto da toccarne il fondo
Vedo bruciare come pula ogni proposito
sfaldare in un attimo quanto costruito
ancora una volta soccombo e m’arrotolo
come un ragno che la ragnatela soffoca
Eppure credevo di resistere al profumo
della tentazione,pensavo duro lo scudo
di preghiera elemosina digiuno:tutto è
scivolato ai piedi dei soliti pensieri
Adesso mi guardo, capisco che non posso
restare nel torpore del vuoto, anche se
frustrato da colpe,scatto per riempire
la giara del cuore che avevo essiccata
Ogni volta che la delusione insorge nel tuo cuore ed avverti il peso della solitudine, come se tutto tramasse contro di te,fermati e guardati intorno, dove certamente trovi qualcosa o qualcuno che potrebbe donarti speranze migliori.
Soprattutto stringi gli occhi, per liberarti dalla fuliggine delle illusioni, generate da false promesse, e gusti la trasparenza del Cielo, dove Qualcuno aspetta il tuo ritorno, per riprendere il suo cammino con te.
Qui non ascolterai parole né rimproveri; non vedrai volti finti come immaginette né sorrisi accattivanti di fantasmi.
Sentirai solo il profumo dell’Amore nella visibilità di un Padre, che ti accompagna, tenendoti per mano, nel nuovo cammino.
Sono le mani di Dio, che ti accarezzano nel momento del dolore e del perdono.
Quelle stesse, nelle quali puoi vedere e toccare le mani del Figlio, Gesù Cristo, piagate per amore.
E sono mani sempre aperte, pronte a raccogliere pure i cocci di quanto ancora ti resta, a differenza di quelle dell’ uomo, che si aprono e si chiudono sempre con il ritmo dell’egoismo o dell’apparenza.
Le mani di Dio aprono la porta sempre, anche al solo fruscio di pentimento.
Temo chi cerca di imprigionare il sacro nei riti,
misurando parole e gesti con il metro del volto,
con cui fa trasparire sottili messaggi di severità.
Qui non vedo nè sento l’ odore di Dio.
Mi perdo nella visione di un gendarme del divino,
che cerca soltanto l’ esteriore perfetto,
con cui crede di rivelare il mistero della Verità.