Nasce l’amore
Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]
Madre mia,ho bisogno come non mai di parlarti
di sentire il respiro caldo delle tue carezze
di rivivere quello scambio perfetto di grazia
e di silenzio,che solo guardandoti,arricchiva
la mia anima e mi coronava di tanta tenerezza
Cerco come un bambino il tuo sguardo il volto
il sorriso,per bagnarmi della tua benedizione
le tue labbra per ascoltare le parole d’amore
le mani per rimuovere il pulviscolo dal cuore
i piedi per vivere alla sequela di tuo Figlio
Troppo mi manchi,perché troppo è il tempo che
ho vissuto solo nella carovana della baldoria
dove,pur zoppicando di false felicità,provavo
sempre nostalgia dei tuoi occhi,che parlavano
e mi chiedevano il ritorno alla tua maternità
Ora ti grido il mio amore:come vorrei levarlo
in alto,per vivere come prima la vita,bagnata
dalle tue lacrime!Una vita a due vite vissuta
senza più rumori,in cammino gioioso e filiale
in cui sei Tu a portare per mano la mia anima
Se non fossi convinto della tua misericordia, o Signore, mi sentirei perduto.
Grande è la mia debolezza, che acceca il cuore e la mente, più grande é l’amore,
con cui mi avvolgi in ogni istante di vita, facendomi vibrare di tenerezza.
Anche se inciampo, distratto da vie diverse dalla Tua; anche se scivolo sui cocci,
impotente spesso a mantenermi in piedi,mai smetto di alzare gli occhi verso di Te,
dove trovo mani tese, che mi donano petali d’amore, rendendomi un uomo nuovo.
Giro a vuoto, prigioniero di pochi e usati pensieri.
Anche se cerco di rincorrere vie diverse, mai trovo
sapori di novità: troppe virgole sono come la scure
che recide ogni respiro e mi lascia quasi soffocato.
Ansimo in un miscuglio di parole incapace di unirle,
per farne un falò, dove posso bruciare ogni ricordo
vecchio e nuovo, desideri passati e presenti, moine
verbali, stelle di occasione, e essere senza nebbia.
Finché tracimerò pensieri e parole solo per apparire,
e lontano dal silenzio mi faccio vincere dal chiasso,
non sarò mai diverso da un cembalo sonoro, che grida
senza prima ascoltare i tormenti della sua coscienza.
Vorrei volare là dove le farfalle
non osano,in un cielo nudo sereno
lontano e senza lacrime di dolore
un cielo dove potrei vedere carri
di fuoco che portano via il cuore
sull’arcobaleno dell’amore eterno
Pensare è il mio diletto, scrivere il mio tormento.
Non sempre le parole sanno imprigionare i pensieri.
Li ampliano li stringono li sfumano come una gomma
e non sempre rivelano la loro originaria ricchezza.
Essi nascono dallo scrigno dorato dell’ispirazione
e sono una carezza dello spirito non sempre capita.
Cosí, pensieri profondi che brillano di universale
vengono attorcigliati da parole vuote o inadeguate.
Ed è un tormento sapere il valore di un pensiero e
poi vederlo pietrificato in parole piccole piccole.
Tu mi cerchi sempre:
dovunque mi trovi,
mi prendi con amore;
nella polvere,
per primo la scuoti,
nel fango,
per primo mi pulisci;
anche se non sono bello,
mi rendi sempre bello,
anche se non sono buono,
mi rendi sempre buono;
dimentichi sempre:
con affetto di padre
mi ami perdonandomi
Quando stiamo insieme, non conta vincere o perdere.
Anche se i pensieri volano diversamente, alla fine
si ritrovano sempre e riposano nella stessa stanza,
dove non vibrano i fantasmi di paura, ma aleggiano
solo cornici di emozioni, impregnate di vero amore.
E siamo uniti, vincolati dagli sguardi di silenzio,
che, senza parlare, dicono non l’ ansia di perdere
o la gioia di vincere, ma quanto rende la bellezza
di stare insieme, aldilá della polvere e la gloria.
Aldilà delle mie fragilità che
mai velano il desiderio di Dio
che cerco e trovo nel prossimo
dovunque sia,mi sento appagato
per quello scudo di lealtà che
ho creato e ora veste il volto
il mio volto,ove tutti possono
leggere ciò che vogliono,anche
le fantasie,ma mai vedranno né
sentiranno parole senza verità
Anche se feriscono,perché dure
manifestano sempre occhi leali
dicono sentimenti di sincerità
che non negano aiuto a nessuno
tendono sempre una mano su cui
domani chi vuole potrà contare
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.
Ascoltare la parola di Dio e non metterla in pratica è un po’ come un vento di passaggio,che genera anche delle emozioni,però non trasforma mai la vita. Così, conoscere la parola di Dio, o saperla ben presentare,senza applicarla a se stesso, è solo una strumentalizzazione della stessa Parola; una doppiezza che può ingannare l’uomo,ma non Dio che legge nel cuore.
Purtroppo,oggi più che mai,siamo caduti in un circuito di apparenze; viviamo in un mercato di parole, dove vendiamo tutto, anche il cuore, sospeso a tante finzioni. Siamo diventati bravi attori, ma non siamo veri testimoni, capaci di ascoltare e vivere con serietà la parola di Dio. Ecco perché un giorno rischiamo di ascoltare le parole di Gesù: ”Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità”.
E finchè la liturgia della Parola non la caliamo nella quotidianità della vita,non saremo mai credibili. Se la fede che professiamo non la trasformiamo in opere, noi non entreremo mai nel regno di Dio.
Il che significa che la fede non deve essere un bel repertorio di parole né una semplice teoria o una semplice credenza in Dio; ma deve essere un’azione di cuore e di mente,che parta dalla contemplazione di Dio e discenda sul versante delle nostre azioni quotidiane
L’ultima parola della vicenda di Gesù non è la morte, ma la vita. Al di là della Croce non c’è il sepolcro, ma il vivente, Gesù, il Risorto. Quell’uomo che i pagani vedono morire sulla croce, è lo stesso uomo che ora si manifesta come Signore della vita. La morte, che pure segna il limite invalicabile contro cui vengono a cadere le tensioni e le aspettative umane, viene per la prima volta sconfitta; ed in questa vittoria siamo coinvolti tutti. Infatti, noi tutti abbiamo vinto in Cristo la morte; ed il nostro è un destino di eternità: noi siamo eterni, non moriremo mai. La Risurrezione viene a confermare questa fede nella immortalità. Le parole di San Paolo sono chiare:”Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede….”. Invece, Cristo è risorto e la sua Risurrezione segna la sconfitta del dubbio e della tristezza. Del resto, se non si fosse verificata la Risurrezione, oggi l’ultima parola sarebbe spettata al Calvario; ed ogni speranza sarebbe rimasta priva di fondamento. Il fatto, invece, che tutto sia avvenuto secondo le predizioni, fa di questo evento un punto di riferimento veramente universale. Non dimentichiamo: quella di Gesù è una Risurrezione annunciata ed anticipata. Annunciata, quando Egli dice:”Come Giona stette per tre giorni e tre notti nel ventre di un pesce, cosi il Figlio dell’uomo sarà per tre giorni e tre notti nel ventre della terra”, oppure quando dichiara:”Distruggete questo tempio ed io lo riedificherò in tre giorni”. Anticipata, allorché risuscita Lazzaro. Una circostanza quest’ultima, nella quale sperimentiamo una duplice verità: da una parte, il trionfo dell’umanità di Gesù che piange per la morte dell’amico; dall’altra, la potenza di Dio che si rivela nel ridare la vita a Lazzaro. Quella potenza che Dio esprimerà definitivamente nella Risurrezione stessa di Gesù:”Allora perché cercate tra i morti colui che è vivo?”.
Lo avevano tradito, condannato, crocifisso. Lo avevano chiuso dentro un sepolcro ed il terzo giorno Dio Lo risuscita. E’ questo l’annuncio gioioso della Pasqua: un annuncio di vittoria sulla morte, di luce sulle tenebre, di speranza sulla caduta delle illusioni. Così, quel Gesù di Nazareth, che “era passato beneficiando e risanando tutti”, quel Gesù che gli uomini uccisero appendendolo ad una croce, è lo stesso Gesù che Dio risuscita. Sulla croce il Padre sembra che abbia abbandonato il Figlio, fino a strappargli quel grido di angoscia:”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”; ora, risuscitandolo, dimostra di identificarsi con Lui, il Crocifisso. Per cui è impossibile non vedere sul volto del Crocifisso la gloria del Padre, il quale si fa garante che Gesù di Nazareth è davvero quello che aveva detto di essere. In altre parole, la Risurrezione è il potente “SI” di Dio, pronunciato sulla vita di Gesù; è il sigillo della autenticità divina di Cristo. Ma la Pasqua non è solo il passaggio di Gesù da questo mondo al Padre attraverso l’abisso della passione e la gloria della Risurrezione; segna anche il passaggio dell’uomo dai vizi alla virtù, dalla colpa alla grazia, dall’odio all’amore. C’è dunque un mistero pasquale che celebriamo nella liturgia e un mistero pasquale che si attua nella vita. A che serve la Pasqua della liturgia quando siamo incapaci di compiere in noi il passaggio dell’uomo vecchio all’uomo nuovo. E’ facile celebrare la Pasqua con semplici spunti di commozione e di autoesaltazione passeggeri. Ma se il vissuto della nostra vita non si concilia con il messaggio del Risorto, ogni celebrazione è del tutto inutile. Perciò, se la Pasqua segna il passaggio dalle tenebre dell’errore alla luce della verità, noi dobbiamo diventare protagonisti di verità; se la Pasqua supera e sconfigge i limiti ristretti della morte con il grido gioioso della Risurrezione, dobbiamo essere testimoni della vita contro ogni logica di morte. Il che significa che non possiamo fingere di non vedere la sofferenza di chi leva verso di noi il suo grido di dolore; non possiamo ignorare i nuovi Abele, i nuovi Lazzaro di questa strana società, affascinata solo dalla tentazione delle apparenze, dalla idolatria del benessere, dalla cultura delle cose. Una società che vive solo al guinzaglio di se stessa, sconnessa persino dalle tradizioni, considerate ormai travi tarlate del passato; una società gestita da centri di potere che hanno un solo scopo: sradicare le radici stesse della storia cristiana. Ma voi pensate che la passione di Cristo si sia esaurita sul Calvario? No, vi dico, La Passione di Cristo continua. E continua negli olocausti antichi e moderni; nelle guerre passate e presenti…… Continua nella nostra ritrosia ad aprirci al mistero di Dio. La passione più grande che affligge il cuore di Cristo e genera la sofferenza di Dio è il comportamento di tanti cristiani, che si lasciano travolgere nella loro intimità religiosa, nella loro fede senza opporre alcuna resistenza, per far valere la propria identità, la propria appartenenza alla Chiesa di Cristo.
Assistiamo purtroppo passivamente allo svilimento dei nostri valori umani e cristiani. Come se non fossero bastati i traguardi giuridici dell’aborto e del divorzio, oggi un’altra scure, molto più impietosa, si è abbattuta sul fondamento stesso della società, la famiglia, unica cellula, dove si realizza la reciproca accettazione e donazione delle persone, nella naturale attrazione della mascolinità e femminilità: ”maschio e femmina, Dio li creò”. Oggi, questo tessuto familiare ha subito il più grave processo di innaturalità con l’approdo ai cosiddetti matrimoni omosessuali e, di conseguenza, alla prospettiva di offrire alle future generazioni il dono infausto di due padri o di due mamme ai figli. E noi che facciamo? Cristiani della prima e della seconda ora, svegliamoci. Non restiamo prigionieri del nostro quietismo spirituale. Usciamo dal letargo. Non restiamo semplici crisalidi; riprendiamoci la nostra dignità di ieri, quando gridavamo nella sofferenza la nostra fede. Non ascoltiamo più queste sirene della politica, che per ammaliare i capricci di pochi, tradiscono persino la verità naturale. Usciamo da questi recinti di falso perbenismo, in virtù del quale cerchiamo di giustificare sempre tutto. Indossiamo, una volta per sempre, il saio della riscossa morale e spirituale, costruendoci vere cattedrali di fede, testimoni d’amore dell’unico Cristo. Il cristianesimo non è una dottrina in disuso, non è la storia di un uomo morto. Il Cristianesimo è una persona viva che continua a proclamare la verità sempre e dovunque. E la verità non è qualcosa che si possiede, ma è Qualcuno che ci possiede: è Gesù, l’umile volto dell’uomo del Venerdì Santo, che è il Risorto della domenica di Pasqua. Lasciarsi possedere da questa Verità è l’unica strada per rendere vera la nostra umanità, per far crescere in essa la luce, la speranza, l’amore; per salvare l’uomo dal degrado, dalla paura del futuro, dalla banalizzazione della vita, dalla chiusura a Dio. Ricordatevi: solo amando questo umile volto in cammino sulla via del Golgota, noi riusciamo a capire chi giace sotto il peso dell’ingiustizia, dell’angoscia, della solitudine. Solo fissando il nostro sguardo sul volto sofferente ed agonizzante di Gesù, noi possiamo comprendere la drammaticità di tanti avvenimenti della storia. Solo contemplando il Crocifisso, noi possiamo incontrare il Risorto, che è e sarà sempre il Cristo dell’amore vero, della vita che palpita ovunque, della serenità che conquista; il Cristo della pace che si proclama, della giustizia che si vive, della verità che si impone. Ed oggi, più che mai, noi tutti abbiamo bisogno di incontrare Gesù Crocifisso e Risorto, se vogliamo essere uomini veri, segnati da Cristo, in cammino nella storia.