In molte famiglie, che pur si dichiarano cristiane, la Sacra Scrittura è un libro così dimenticato, che in esse è quasi raro trovarla; e quando si trova, funziona spesso come un semplice soprammobile.
Purtroppo, oggi la conoscenza di Dio e di Cristo, nonchè la stessa vita cristiana non si nutrono né sono regolate dalla Sacra Scrittura, ma tante volte solo da riviste o dalla visione di film religiosi, che suscitano fugaci sentimentalismi, ma non fanno vibrare il cuore del vero mistero di Dio, che soltanto la sua Parola può illuminare.
In tale contesto di povertà, i cristiani facilmente si lasciano sopraffare dalle sette, come i Testimoni di Geova, che usano la Bibbia come duro grimaldello di ambiguità interpretativa, per colpire la vera Chiesa di Dio. Come sarebbe salutare, invece, per i cristiani gustare il contenuto della Bibbia, onde cogliere le sorprese di Dio e la bellezza del suo Amore, Cristo !
Categoria: Pensiero del giorno
L’ assenza della Bibbia nelle famiglie cristiane
La forza del silenzio
L’uomo moderno, con le sue problematiche sempre in crescendo, è diventato una povera “appendice – dice Max Picard – del rumore”.
Parla come un cembalo scordato, librandosi in un circuito di parole a vanvera, inessenziali, che fanno da cornice alla fiera delle chiacchiere.
Le sue, purtroppo, sono parole che vengono dal chiasso e non dal silenzio, che è una precondizione del vero parlare.
Una parola che non riposa su di un fondo di silenzio non è mai autentica, perché non nasce dal cuore; è solo un fatto palatale, ossia di parole non pensate, di parole parlate, ma non parlanti, capaci di interrogare il cuore di chi ascolta.
Chi vive solo di chiasso, perché ha disimparato il silenzio, possiede ” solo una lingua kitsch”.
E ciò si sperimenta ogni giorno nell’ ascolto televisivo o in certi convegni, dove alcuni parlano per non dire niente, a differenza di altri, per i quali il silenzio, in ascolto di sé, è segno di pensiero ed è più significativo delle stesse parole.
All’ombra della gola
Quando mangi non trasformare la fame in un rito celebrativo della gola, la quale più che gustare veramente il cibo, diventa solo uno strumento di eccesso, che non ha niente a che vedere con una seria nutrizione.
Una bocca schiava di abusi, prigioniera della tavola sempre da imbandire, non solo inquina il corpo, ma obnubila anche la mente.
E poi in un mondo affamato a volte senza nemmeno il superfluo, è triste vivere solo per il gusto di mangiare, al cospetto di tanti che si accontentano di poche briciole.
Non sembra, oggi, di grande attualità la parabola evangelica del ricco epulone e del povero Lazzaro? Forse alcuni non si muovono sulla stessa lunghezza d’onda degli antichi ricchi Romani, in riferimento ai quali, Seneca scriveva:”edunt ut vomitent, vomitant ut edant”,cioè, mangiano per vomitare e vomitano per mangiare?
Artigli giornalistici
Oggi c’è un giornalismo che crede di essere depositario di ogni verità, non importa se poi il suo orizzonte venga abbagliato quasi sempre da notizie semplificate extrapolate, distorte, forzate, amplificate, addirittura false, che avvolgono i malcapitati in una ragnatela di denigrazioni orripilanti.
Non solo, ma ci sono anche tanti giornalisti che parlano di tutto: scienza, religione, fede, Dio, Cristo… senza le dovute conoscenze, riducendo così i valori umani e religiosi ad una fictio mentis, impregnata di strumentalizzazione e cattiveria dissacrante.
E non si avvedono della mole di danno che causano ai lettori, che si fanno ammaliare dalle loro elucubrazioni, che traducono una fiera di idee in un artefatto chiaroscuro.
Purtroppo, in gran parte del giornalismo e tra molti giornalisti vige il principio dello scoop: più clamore, più vendite, più denaro in un circuito perverso, che corrode la base della stessa dignità umana.
La mania della bomba mediatica, che mira a far passare come vero il falso, come legale l’ illegale, come morale l’ immorale, come giusto l’ ingiusto, al di la della durata temporale, è il quadro di un giornalismo inumano, pervertito ai costumi di una certa moda: auri sacra fames!
Ogni giorno non è mai uguale
Ogni giorno non è mai uguale.
Ha sempre un sapore diverso: un intarsio di gioia e tristezza, di lacrime e sorrisi, di affanni e serenità, che rende la vita espressione di continuo stupore.
Non solo, ma la veste anche di certezze e speranze, di illusioni e delusioni, che la ravvivano o in un arcobaleno di ebbrezza o la prostrano in un tonfo di sconforto.
E tutto, nella bellezza delle sue sfumature e dei vari colori, forma quel mosaico irrepetibile, che si chiama uomo, nella cui immagine Dio si specchia ed imprime orme di novità.
E’ il fascino avvolgente di un Padre, mai stanco di cercare e ritrovare, nella trama delle vicende terrene, la sua creatura, che meglio e più di tutte, rivela i lineamenti del Suo volto.
Il ritratto della vergogna
Il nostro è un mondo dalle troppe maschere.
C’ è chi grida a squarciagola la carità e chi in silenzio copre facilmente il suo volto, per non vedere né ascoltare i lamenti, che attraversano le vie.
C’ è chi condanna con frasi stereotipate l’ ingiustizia, che alligna ovunque e chi in privato la ordisce a danno di chiunque, pur di tutelare i propri interessi.
C’ è chi si ferma per strada e piange a dirotto sulle ferite di un cane investito e chi, di fronte alla morte tragica di un uomo, passa oltre, senza neppure uno sguardo di pietà.
E’ il mondo senz’ anima, che fa da contraltare al vangelo. E’ il mondo che continua a restare sordo al comandamento nuovo di Cristo: la carità.
A tale proposito, sono di grande attualità le parole di Ernesto Oliviero, che, parafrasando quelle di Gesù, scrive:” Avevo fame e ho ancora fame. Avevo sete e resto assetato. Ero straniero e non trovo una terra amica. Ero carcerato e nessuno mi ha liberato. Ero nudo e continuo a vestirmi di freddo. Ero malato e muoio solo. Avevo dubbi e nessuno mi aiuta a capirli. Ero angosciato e nessuno mi dà speranza. Ero bambino di strada e solo la strada,con le sue violenze, mi accoglie…”.
E’ il vero ritratto della vergogna di un mondo, che si preoccupa più di dare il necessario ad un animale, che il superfluo al proprio fratello.
La Chiesa vista dal basso
Finchè il tuo sguardo si posa solo sulle tante sfumature della Chiesa, chiusa in un intarsio organizzativo – istituzionale, sostenuto da volontà verticistiche, che attirano su di sé i riflettori dei mezzi di comunicazione o che si muovono in contiguità con altri poteri, tu capirai poco o nulla della sua bellezza.
Anzi, non disdegnerai di renderla facilmente oggetto della tua critica, anche cattiva.
Eppure, la vera Chiesa la potrai conoscere, non spingendo tanto gli occhi in alto, quanto in basso, dove c’ è una chiesa nascosta, silenziosa, immersa nel terribile quotidiano; pronta ad ascoltare e ad accogliere lacrime e mani tese.
E’ la chiesa vera, quella che cammina senza ignorare la voce dei poveri; è la Chiesa che vive in tante comunità parrocchiali, dove le sacrestie non hanno orario ed ogni povero cristo può trovare, al di là di qualcosa con cui sfamarsi, anche qualcuno da cui ricevere petali di amore.
Perciò, quando stai per voltare le spalle alla Chiesa, fermati ed impegnati a vederla dal basso: qui, nella visione di tanti volti sereni, scoprirai il profumo della sua santità e la voglia di amarla.
Non lasciarti sedurre solo dal presente
Farsi consumare l’esistenza dalla fuliggine del tempo, come se il suo scorrere si racchiudesse in uno scrigno senza speranza dell’oltre, è una profonda tristezza.
E’ deprimente vivere, rincorrendo solo vie e sentieri nuovi, per poi vedersi, all’improvviso, vecchio con il volto istoriato di rughe.
Neppure è appagante fermarsi, per affacciarsi al balcone del passato,dove, al di là delle solite certezze materiali, non si trova alcunché di eterno, che abbia dato un senso alla vita. Purtroppo,oggi più di ieri, siamo diventati smaniosi roditori del presente, che dipingiamo in una varietà di sfumature e di ingredienti immediati, senza alcun desiderio di andare oltre la cornice delle cose, dove potremmo capire il vero mistero della vita.
E’ veramente drammatico,amico mio,vedersi timbrati dall’ingratitudine del tempo, che sciupa ogni energia,facendoci quasi un deserto arido, quando, se solo ci guardassimo dentro, potremmo trovare quelle orme di immortalità, che la coscienza, non sempre usata, mai smette di segnalarci.
Cultura religiosa senza fede
Nella mia esperienza cristiana conosco troppi maestri, depositari di dottrina e teologia, pronti a dare risposte ad ogni quesito di fede, però incapaci di viverla ed impregnare il loro vissuto della sua bellezza. Tante belle e soltanto parole, sospese ad una cultura astratta, prive di ogni annientamento nella realtà. Tutta teoria che genera il fascino della cultura come qualsiasi altra conoscenza, ma non apre la porta del cuore, sollecitato dallo Spirito, a “ricevere il messaggio di Dio che ci ha portato Gesù Cristo,viverlo e portarlo avanti”.
Purtroppo, questa mania della sola cultura religiosa è presente anche nelle comunità parrocchiali, dove non pochi sono coloro che, pur sapendo bene il contenuto della fede, non hanno fede, a differenza di tanti altri, che, pur ignorando la teologia, hanno una fede viva, perché hanno incontrato realmente Gesù Cristo e non verità astratte. Ed è proprio questo incontro con Gesù Cristo, che porta alla testimonianza. Perciò ” una fede senza opere – sottolinea l’apostolo Giacomo – una fede che non coinvolge e non porta alla testimonianza, non è fede. Sono parole. E niente più che parole”.
Il mostro della Burocrazia
La burocrazia è uno dei peggiori disagi, che affligge la nostra società. Un vero sistema di potere silenzioso, che impone pesanti fardelli di denaro e di tempo, impregnati da continui capricci verbali, che hanno nomi diversi e sempre destinati a rallentare ogni iniziativa sia imprenditoriale che personale. E’ una ragnatela avvolgente con fili soffocanti, che si insinuano ovunque, generando contesti di perbenismo interessato che si scioglie soltanto con i soliti ritornelli del do ut des. E la politica, che nicchia nei suoi aborti di fantasia, poco o nulla fa per eliminare questo mostro dalle multiformi teste, che sta divorando lo stesso Stato . Poco o nulla fa per snellire questa locomotiva, che uccide la voglia di viaggiare, tanto è lenta e paurosa di perdere le trame dei propri appannaggi economici. Eppure, in una società che sta cadendo nella povertà; che vede bruciata ogni speranza occupazionale, è veramente assurdo registrare come le strutture di controllo addormentino ogni rilascio di autorizzazioni sia per i piccoli che per i grandi progetti, la cui valutazione finale arriva quasi sempre dopo esaurimenti di tempo e di denaro. E la politica grida e a volte promette riforme, che mai arrivano, quando sarebbe sufficiente solo una leggina che contemplasse tempi perentori per ogni autorizzazione e sanzioni per chi senza giustificati motivi non rispettasse i termini previsti. Il che eviterebbe lo spettacolo dei tanti salotti nei luoghi di lavoro e darebbe certamente maggiore dignità all’intelligenza di chi,arrabiato,osserva i capricci interessati dei burocrati di turno.