Categoria: Generale

Paola e Gabriele Carrillo

foto 230 anni di matrimonio vissuti nella reciprocità di un grande amore.

E’  la storia di Gabriele e Paola,  un quadro di bellezza coniugale, che testimonia la vivacità della vera famiglia cristiana,

di cui l’ attuale società ha tanto bisogno, per consolidare se stessa nella prospettiva dei valori autentici.

Ciò  che rende ancora più bello questo quadro è  la visione di Gioia, Marilena e Donato, i tre figli che fanno da corona al loro amore

e completano la testimonianza di ciò che concreta il tessuto di una vera società : una famiglia sana per una società sana.

Il Cristianesimo non è una dottrina in disuso (Messa delle 12,00)

Gesù è veramente risorto. Perciò, l’ultima parola della sua vicenda terrena non è la morte, ma la vita. Al di là della Croce non c’è il sepolcro, ma il vivente, Gesù, il Risorto. Quell’uomo che vedono morire sulla croce, è lo stesso uomo che ora si manifesta come Signore della vita. La morte, che pure segna il limite invalicabile contro cui vengono a cadere tensioni e aspettative umane, viene per la prima volta sconfitta; ed in questa vittoria siamo coinvolti tutti. Infatti, noi tutti abbiamo vinto in Cristo la morte; ed il nostro è un destino di eternità: noi siamo eterni, non moriremo mai. Del resto, se non si fosse verificata la Risurrezione, oggi l’ultima parola sarebbe spettata al Calvario; ed ogni speranza sarebbe rimasta priva di fondamento. Il fatto, invece, che tutto sia avvenuto secondo le predizioni, fa di questo evento un punto di riferimento veramente universale e sempre attuale. Perciò,il cristianesimo non è una dottrina in disuso,non è un album di ricordi o di memorie passate, non è la storia di un uomo morto. Il Cristianesimo è una persona viva che continua a proclamare la verità sempre e dovunque. E la verità non è qualcosa che si possiede, ma è Qualcuno che ci possiede: è Gesù, l’umile volto dell’uomo del Venerdì Santo, che è il Risorto della domenica di Pasqua. Lasciarsi possedere da questa Verità è l’unica strada per rendere vera la nostra umanità, per far crescere in essa la luce, la speranza, l’amore; per salvare l’uomo dal degrado, dalla paura del futuro, dalla banalizzazione della vita, dalla chiusura a Dio. Solo amando questo umile volto in cammino sulla via del Golgota, noi riusciamo a capire chi giace sotto il peso dell’ingiustizia, dell’angoscia, della solitudine. Solo fissando il nostro sguardo sul volto sofferente ed agonizzante di Gesù, noi possiamo comprendere la drammaticità di tanti avvenimenti della storia. Solo contemplando il Crocifisso, noi possiamo incontrare il Risorto, che è e sarà sempre il Cristo dell’amore vero, della vita che palpita ovunque, della serenità che conquista; il Cristo della pace che si proclama, della giustizia che si vive, della verità che si impone.

Gesù è veramente risorto (Messa delle ore 8,30)

foto2Gesù è veramente risorto. Perciò, l’ultima parola della sua vicenda terrena non è la morte, ma la vita. Al di là della Croce non c’è il sepolcro, ma il vivente, Gesù, il Risorto. Quell’uomo che vedono morire sulla croce, è lo stesso uomo che ora si manifesta come Signore della vita. La morte, che pure segna il limite invalicabile contro cui vengono a cadere le tensioni e le aspettative umane, viene per la prima volta sconfitta; ed in questa vittoria siamo coinvolti tutti. Infatti, noi tutti abbiamo vinto in Cristo la morte; ed il nostro è un destino di eternità: noi siamo eterni, non moriremo mai. Del resto, se non si fosse verificata la Risurrezione, oggi l’ultima parola sarebbe spettata al Calvario; ed ogni speranza sarebbe rimasta priva di fondamento. Il fatto, invece, che tutto sia avvenuto secondo le predizioni, fa di questo evento un punto di riferimento veramente universale e sempre attuale.

Perciò,il cristianesimo non è una dottrina in disuso,non è un album di ricordi o di memorie passate, non è la storia di un uomo morto. Il Cristianesimo è una persona viva che continua a proclamare la verità sempre e dovunque. E la verità non è qualcosa che si possiede, ma è Qualcuno che ci possiede: è Gesù, l’umile volto dell’uomo del Venerdì Santo, che è il Risorto della domenica di Pasqua. Lasciarsi possedere da questa Verità è l’unica strada per rendere vera la nostra umanità, per far crescere in essa la luce, la speranza, l’amore; per salvare l’uomo dal degrado, dalla paura del futuro, dalla banalizzazione della vita, dalla chiusura a Dio. Ricordatevi: solo amando questo umile volto in cammino sulla via del Golgota, noi riusciamo a capire chi giace sotto il peso dell’ingiustizia, dell’angoscia, della solitudine. Solo fissando il nostro sguardo sul volto sofferente ed agonizzante di Gesù, noi possiamo comprendere la drammaticità di tanti avvenimenti della storia. Solo contemplando il Crocifisso, noi possiamo incontrare il Risorto, che è e sarà sempre il Cristo dell’amore vero, della vita che palpita ovunque, della serenità che conquista; il Cristo della pace che si proclama, della giustizia che si vive, della verità che si impone. Ed oggi, più che mai, noi tutti abbiamo bisogno di incontrare Gesù Crocifisso e Risorto, se vogliamo essere uomini veri, segnati da Cristo, in cammino nella storia.

 

Domenica di Pasqua: finalmente Vita !

La Pasqua è per noi cristiani il centro della nostra fede, il giorno atteso, in cui celebriamo solennemente la vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte, sul dolore, sul ripiegamento di se stessi e su tutto ciò che opprime l’uomo. È il giorno in cui è offerto un nuovo senso alla vita, in cui il Risorto chiede di andare oltre ciò che umanamente è comprensibile, per aprirci al mistero della salvezza. In questo Santo giorno, Gesù Vivente ci chiede di abbandonare tutto ciò che ha il sapore della morte nella nostra esistenza, come la tristezza, le preoccupazioni, le amarezze, le sconfitte, la ricerca tormentata di quella felicità effimera data dall’adesione ai vari idoli. Cristo, invece, ci invita ad aprirci a Lui, a fidarci di Lui, ad accogliere la sua Vita, a risorgere con Lui per aprirci a questa “novità” di Dio e assumere sempre di più il suo volto di amore pieno e di libertà autentica. “Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo”. Finalmente il cammino della Quaresima finisce. Il Signore Risorto si fa incontrare: dissipa le tenebre e dona la luce nuova. La Pasqua è, infatti, la vita nuova offerta, all’uomo, dal Cristo Risorto; è il mistero dell’amore di Dio che si svela e che dona speranza, dando significato nuovo alla sofferenza e alla morte. Il brano di Giovanni racconta la visita al sepolcro, prima della Maddalena, poi dei discepoli. Questi ultimi riconoscono, nei segni dei teli e del sudario, che qualcosa di straordinario è avvenuto, qualcosa che a loro più volte era stato preannunciato, ma che non avevano compreso. Solo quando sono lì, dinnanzi a quella tomba vuota, la fede si fonda, si radica e cresce: l’Amore mai sconfitto di Dio permette loro di comprendere, di aprire i cuori e così, il discepolo amato, “vide e credette” (Gv 20,8). La Pasqua, allora, è giorno di gioia, perché la tristezza svanisce, il peccato e la morte sono sconfitti. Spesso, però, la vita eterna è vista solo come qualcosa che appartiene ad un futuro lontano; ma non è così perché è dono offerto già oggi, da accogliere e vivere già qui, sulla terra. Al cristiano, al battezzato, questa vita nuova è già data quando viene immerso nell’acqua e nello Spirito Santo. Si realizza, così, la promessa del Cristo, cioè che: “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

a cura di don Agostino Porreca

 

Domenica delle Palme e della Passione

La domenica delle Palme e della Passione del Signore apre la settimana Santa, il tempo “più forte” dell’anno liturgico, perché in essa viene celebrato il mistero centrale della nostra fede: la morte e la risurrezione di Cristo. L’apertura avviene con una scena di trionfo, quale è la benedizione delle palme e la processione in onore di Cristo-Re, che fa il suo ingresso a Gerusalemme tra le grida osannanti della folla. Un trionfo che ben presto si muterà in spietata congiura di morte.

Un aspetto importante del racconto dell’ evangelista Matteo, che vorrei sottolineare, è  la dichiarata innocenza di Gesù, nonostante i tanti tentativi per dichiararlo ” reo di morte “.  Tale innocenza si rileva da tutto il racconto, ed appare chiara sia dal sogno della moglie di Pilato che lo esorta a “non avere a che fare con quel giusto “, sia dal gesto dello stesso Pilato, che ” si lava le mani davanti alla folla “, dicendo: ” non sono responsabile di questo sangue…”.

Nell’innocenza di Gesù emerge però  la colpevolezza degli uomini, per cui il processo a Gesù  e’ anche il processo agli uomini. Così, mentre Pilato proclama che Gesù è  innocente, poi lo condanna a morte. I Farisei e i sacerdoti del Tempio,  che pur gridano il rispetto della Legge, poi la violano nella procedura e nel contenuto, condannando l’inviato di Dio, Cristo, incapaci di vedere in Lui la rivelazione del suo mistero. Persino la folla, che prima l’aveva  accolto come re, adesso gli gira le spalle, chiedendo di crocifiggerlo.

E che dire dei suoi stessi discepoli?  Giuda lo vende per trenta denari: l’ ebbrezza di un istante, poi la solitudine, la disperazione, infine il suicidio. Lo stesso Pietro, che poco prima aveva solennemente giurato a Cristo la sua fedeltà, adesso lo tradisce per ben tre volte, non avendo il coraggio di confessarlo in pubblico. Ma tutti, al momento del suo arresto ” abbandonatolo, fuggirono”.

In questa storia, come ben si può leggere, non si descrive solo il giudizio iniquo degli uomini su Gesù, ma anche e soprattutto il giudizio di Dio sugli uomini, e, quindi su tutti i cristiani, che continuano a tradire e vendersi,oggi come allora, per pochi spiccioli il proprio Signore.

Il che sta a significare che quella storia continua ad interpellare ognuno di noi, perché  un po’  tutti continuiamo ad essere presenti in quel dramma, restando sul palcoscenico come protagonisti, comparse o semplici servi della cattiveria, che non disdegnano di schiaffeggiare Gesù come fece quel servo, durante il processo, solo per ingraziarsi il sommo sacerdote, il padrone di turno del nostro quotidiano.

Il Mistero

Come vorrei comprendere

il Tuo e il mio mistero

turbinio di idee che si

fermano quasi sempre là

dove è la soglia Ultima

A volte allungo le mani

perché mi sembri Vicino

a volte ti vedo Lontano

come un specchio magico

ove la identità Tua mia

si velano e si rivelano

Ma Tu,Lontano Vicino,se

veramente mi ami perché

non mi sussurri chi sei?

Non mi dici io chi sono?

Se Tu,o Dio,sei l’unico

sogno per il quale ogni

attimo io consumo,fammi

incontrare con il Sogno

sì da vedere l’Infinito

sulla nebbia della fede

e rendermi uomo di luce

 

 

 

Corso di matrimonio: concluso a cena

In un clima di profonda amicizia abbiamo concluso il corso di preparazione al matrimonio.
Dopo sei mesi, durante i quali sono stati affrontati vari argomenti, presentati come feconde indicazioni per un serio cammino di fede, abbiamo voluto vivere al Ristorante ” Il Caprettaro ” un momento di condivisione, ritenuto necessario per rinsaldare quei vincoli di conoscenza, sviluppatisi tra tutti i corsisti.
E’ stato veramente bello stare insieme.
Ed insieme abbiamo sperimentato un effluvio di vera gioia tra sorrisi e semplicità di gesti,che,senza scivolare nelle solite apparenze, hanno vestito la serata a festa.
La festa dei fidanzati e delle fidanzate, che, senza salire sui vecchi arcobaleni dei sogni, dove la realtà della vita facilmente sfugge, hanno voluto consacrare l’ultimo tassello del percorso di preparazione,con un incontro conviviale,dove tutti,insieme con don Filippo, si sono sentiti protagonisti.

Nelle mani dell’Amore

Come è inutile contare ciò che ami

cose fragili accumulate nei tesori

che saziano gli occhi, ma inquinano

l’anima,così distante da tutto ciò

che si fonde nel risucchio mortale

che il tempo divora, lasciando solo

brevi tracce, che la polvere uccide

 

Nulla resta, tra le dita, delle cose

viste e possedute, una volta spenta

la lampada,nemmeno un fruscio vero

quasi ultimo odore della ricchezza

e tanto meno un saluto d’ addio che

da morente ognuno vuole fare a chi

un giorno avrà le cose da numerare

 

Quando le palpebre si chiudono,ciò

che le mani stringono in una morsa

senza mai staccarsi sino alla fine

non sono le cose avute, ma la bontà

che si dilata al di là del cielo e

come uno scrigno di perle pregiate

lo donano alla bellezza dell’Amore

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

Il centro  della liturgia della Parola di questa quarta domenica di quaresima è rappresentato dal tema della luce e delle tenebre. E precisamente del contrasto tra queste due realtà, già sottolineato da San Giovanni nel IV° Vangelo, quando dice:” La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. Un contrasto però che non riguarda soltanto l’inizio della vita cristiana, passaggio dal buio alla luce della fede mediante il battesimo,  ma coinvolge ogni attimo della nostra esistenza, sospesa spesso a comportamenti e pensieri, giocati tra luce e tenebre, senza alcuna serietà di autentica ed evangelica testimonianza. Per noi cristiani non basta la consapevolezza di essere non più “tenebra”, una volta ricevuto il battesimo, è necessario che ci comportiamo anche come figli della luce, impegnati a fugare le opere delle tenebre. Non è sufficiente essere semplici testimoni della luce, ma dobbiamo diventare “voce profetica” all’interno delle nostre comunità, denunciando ogni sorta di ingiustizia e di violenza, condannando ogni maschera di legalità, respingendo ogni accattivante schema politico, che sia portatore di tenebre sociali. Non possiamo sottrarci a questo impegno, se vogliamo restare fedeli al nostro Battesimo, che è essenzialmente una chiamata alla luce; una  esperienza di risurrezione, vero passaggio dalla morte alla vita, che dobbiamo testimoniare lungo tutta la nostra storia, come Gesù, il quale una volta “risuscitato dai morti, non muore più”.

Ma cerchiamo di entrare nell’episodio della guarigione del cieco nato, che oltre a figurare un anticipo del passaggio di Cristo dalla sua morte alla luce della risurrezione, è anche la storia di una conversione, di un’illuminazione spirituale. Ebbene, fermo restando la realtà del miracolo come passaggio dalla cecità fisica alla vista, vediamo in questo uomo infermo un vero cammino di fede, che è esemplare per il nostro itinerario di credenti. Al di là dell’impasto di fango e saliva che Gesù applica sugli occhi spenti del cieco, ciò che colpisce e fa esaltante la sua figura, è l’obbedienza alla parola di Gesù:” Va a lavarti nella piscina di Siloe”…quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. Ed è proprio la sua fede che rende prodigiosa l’acqua. La fede, quella vera, è resa, abbandono; è un affidarsi incondizionatamente alla parola di Dio. Il cieco accetta l’incredibile. Superando ogni logica umana, si lascia conquistare da Cristo: ci vede perché ha creduto. Conquistato, vince tutte le difficoltà, persino le ostilità dei suoi genitori, che, di fronte alle minacce dei giudei, declinano ogni responsabilità, imputando al figlio cieco quanto accaduto: ”Chiedetelo a lui – rispondono – ha l’età, parlerà lui di se stesso”. E qui tra il cieco e le autorità giudaiche inizia un dialogo quasi drammatico, i cui contorni non riguardano tanto il fatto in sé del miracolo, quanto la stessa identità di Gesù.  Ai giudei non interessa l’accettazione o meno di quanto avvenuto. In gioco c’è qualcosa di più importante: smascherare Cristo come falso profeta. In altre parole, lo scontro non è sull’autenticità del miracolo, ma intorno alla persona di Cristo. E mentre i Giudei si irrigidiscono nella loro incredulità, rifiutandosi di credere nella messianicità divina di Gesù, il cieco senza seguire i ragionamenti di questi pretesi sapienti, alla domanda: ”tu che dici di Lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”, risponde: ”è un profeta”. Una risposta che gli costa l’espulsione dalla sinagoga. A questo punto il cammino di fede del cieco approda all’ultimo traguardo: in quell’uomo che si chiama Gesù, egli vede il Signore della gloria. Una percezione profonda che aggrava ancora di più la cecità dei giudei, i quali non riuscendo a vedere la presenza di Dio in Cristo, lo respingono addirittura come un “peccatore”.

Purtroppo, essi non vedono, perché non vogliono; tanto sono chiusi nelle gabbie dei loro privilegi che volutamente rifiutano ogni segno di divinità nella persona e nell’operato di Gesù. Pertanto, la loro è una cecità colpevole. Tanto è vero che, a conclusione dell’episodio, troviamo una severa sentenza di giudizio: ”Io sono venuto in questo mondo – dice Gesù – per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Sembra una conclusione paradossale, ma è così. Perché davanti alla luce o apriamo gli occhi per vedere ed immergerci in essa, oppure li chiudiamo e restiamo nelle tenebre.  Nella discussione tra i farisei ed il cieco guarito, notiamo che Gesù si pone come luce per i non vedenti; però può provocare anche accecamento per i presunti vedenti. Chi riconosce la sua cecità ed accetta di farsi illuminare da Cristo, diventa “figlio della luce”; e le sue saranno opere di bontà, di giustizia e verità. Viceversa, chi si illude di vedere, rischia di diventare cieco; e, le sue saranno opere di egoismo, ingiustizia e falsità. E questo è un rischio che incombe un po’ su tutti noi cristiani. Spesso crediamo di vedere, ma il nostro è un vedere senza cuore, ci illudiamo di essere i depositari di Cristo, però siamo incapaci di testimoniarlo nelle cose che contano; pensiamo di essere a posto con Dio e con gli uomini; invece, nella realtà siamo lontano da Dio e dagli stessi uomini. Le squame dell’ipocrisia ancora non cadono dai nostri occhi; ancora non prendiamo atto dei nostri limiti e delle nostre povertà. In questo tempo di quaresima siamo invitati ad uscire dal sonno della cecità, per aprire gli occhi alla luce del Vangelo. Siamo chiamati ad essere trasparenti, luminosi, perché – come leggiamo nella I^ lettura, tratta dal I° libro di Samuele – il Signore non guarda l’apparenza, ma il cuore. Più il cuore è nella luce, più vediamo e leggiamo le cose, gli uomini e gli avvenimenti con gli occhi di Dio, e, quindi, con gli occhi della fede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alle Suore Domenicane di Pompei

A Casapulla 28.3.2014 024Care  Madri, grazie per aver donato alla Comunità parrocchiale di San Luca Evangelista in Casapulla, in occasione della Visita della Sacra Immagine della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei, un momento entusiasmante di fede, attraverso la testimonianza dei bambini del vostro Istituto ” A. Aveta ” .

Il loro  comportamento silenzioso, attento, gioioso e sempre con lo sguardo disteso sul volto della Madonna, ha dato a tutti i presenti la possibilità di apprezzare il livello qualitativo del lavoro da Voi svolto nel gusto dei valori umani e cristiani.

Osservandoli, non si poteva non leggere nei loro occhi una profonda serenità, una bellezza esteriore, specchio della trasparenza del  cuore, in cui  era visibile a tutti la gioia di Dio. In tale contesto di semplicità, persino i lineamenti del volto della Madonna nel quadro esposto, sembravano diversi, quasi accarezzati da Dio in un effluvio di tenerezza materna e paterna, che coinvolgeva tutti i bambini in una cornice dorata di amore celestiale. Grazie ancora, nella certezza che quando i bambini pregano e sorridono, il nostro Dio ha ancora fiducia nell’uomo.