Il brano del Vangelo di Matteo, proposto dalla liturgia della Parola odierna, ci presenta una delle preghiere più belle pronunciate da Gesù. Una preghiera di grande intensità, di profonda intimità con Dio, nella quale Gesù dichiara esplicitamente l’orizzonte del suo amore preferenziale: i poveri, i semplici, gli emarginati. Gli unici che riescono a vedere nella sua Persona l’azione di Dio. Per comprendere tale brano, che si compone di tre strofe perfettamente integrate, dobbiamo penetrare il contesto di rifiuto e di ostilità che circonda Gesù. Farisei e scribi, ed un po’ tutte le classi dell’intellighenzia ebraica oppongono una netta chiusura a tutto ciò che è nuovo. Soddisfatti della loro dottrina, orgogliosi delle conoscenze bibliche, non si rendono conto che Dio sta realizzando il suo progetto di salvezza sotto i loro occhi in Cristo Gesù, l’umile uomo di Nazaret. La loro è un’ottusità di mente e di cuore che preclude ogni apertura al mistero. Pertanto, immensa è la gioia di Gesù nello scoprire che “i piccoli” hanno intuito qualcosa del suo mistero, a differenza dei primi, presunti “sapienti ed intelligenti”. Quella di Gesù è la gioia di chi finalmente si sente compreso dagli altri. E la gioia è talmente intensa che si trasforma, nella prima strofa, in un inno di giubilo, di ringraziamento al Padre che ha aperto il cuore dei “piccoli” alla comprensione del suo mistero:”Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”. I piccoli, ai quali viene rivelato il mistero di Dio, sono i semplici, i trasparenti, coloro che riconoscono i propri limiti e la propria fragilità. Sono coloro che si pongono in un atteggiamento di umiltà e di disponibilità al suo messaggio, il cui contenuto è sempre oltre la saggezza e l’intelligenza umana. Anzi, davanti a Dio non vale la sapienza umana, ma la semplicità del cuore. Quella di Dio è una logica che capovolge ogni parametro di giudizio e di rapporto; tende a rovesciare ogni schema precostituito, ogni presuntuosa sicurezza. E’ una logica che non si ferma alle grandi cose, ma, come dice San Paolo ai cristiani di Corinto, sceglie “ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti”; sceglie “ciò che nel mondo è debole per confondere i forti”. Gesù si pone in questa preghiera di lode in perfetta armonia con il Padre; e si compiace con Lui, perché ha voluto rivelare se stesso a gente semplice, umile e negarsi alla superbia dei sapienti.
Nella seconda strofa, Gesù apre uno spiraglio di luce sul suo mistero, mostrando la coscienza della propria natura divina, la consapevolezza della sua trascendenza. E lo fa sottolineando il rapporto unico ed esclusivo che ha con il Padre:”tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. Sono espressioni cariche di mistero nelle quali Gesù dichiara di essere l’unico che conosce totalmente Dio sino al punto di possedere tutto quello che è di Dio. Anzi, dopo aver rivelato che tra Lui ed il Padre c’è piena e reciproca donazione di conoscenza e di amore, abolisce ogni distanza tra Dio e noi, aprendoci alla bellezza della sua divinità, e dando a tutti noi credenti la possibilità di penetrare, attraverso la sua persona di Figlio, nel mistero di luce abbagliante del Padre. Naturalmente, questa bellezza misteriosa di Dio, rivelata ai semplici e agli umili, è possibile afferrarla soltanto se viviamo secondo lo Spirito, se agiamo secondo la mentalità di Dio e non secondo quella del mondo.
Nella terza strofa, la preghiera di Gesù diventa un invito ai “piccoli” a mettersi sulla sua strada, unica guida per entrare nel progetto d’amore del Padre ed aderire alla sua volontà:”venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò”. Pertanto, mettersi al seguito di Gesù significa sentirsi liberi dal giogo pesante delle prescrizioni, delle formalità culturali con cui Farisei e Scribi imprigionano i loro contemporanei, ed entrare nel giogo dell’amore. Un giogo non più pesante, ma dolce e delicato, che certamente dischiude sentieri di speranza e di vita per tutti gli oppressi ed affaticati, che trovano in Cristo sicuro ristoro e porto di tranquillità.
“Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime”. Con queste parole Gesù, oltre a lasciarci squarci informativi della sua personalità, del suo carattere intimo e del suo atteggiamento concreto, si pone anche come modello da imitare per apprendere come servire Dio e l’uomo nell’amore. In questa civiltà, dove tutto, cose e persone, vengono misurate con il metro della opportunità, della superbia e dell’arroganza, dove altri tipi di “giogo”, più assurdi e pesanti, opprimono le nostre coscienze, rendendole incapaci di gustare lo stupore della semplicità, Gesù ci invita ad essere trasparenti, a ridiventare “piccoli”, per conquistare la sua familiarità, condizione indispensabile per vivere la ricchezza dell’amore verso Dio ed i fratelli.