Categoria: Generale

Il Papa ai Vescovi:” Parlate chiaro e dite ciò che sentite”

Non è facile trovare chiarezza e semplicità nelle persone, che hanno  sempre conservato il cuore e la mente nella ragnatela del tradizionalismo rigido,restie  ad ogni respiro di umanità.
Il loro resta un linguaggio al chiaroscuro, che gioca in aperture e chiusure, senza mai concedere nulla, pur constatando la sofferenza di chi non riesce a vivere un vero rapporto con Dio, per la fragilità della sua interpersonalitá.
Preferiscono chiudersi nel rigidismo morale e religioso, fermandosi alla lettera e non al suo spirito,che aprirebbe certamente orizzonti di maggiore carità e giustizia.
Sanno dire troppi no, prigioniere di schemi prestabiliti o di interpretazioni quasi dottrinali, incuranti delle chiese consorelle, che, senza impoverire la Verità, donano tanta misericordia.
Ha ragione il Santo Padre,quando dice ai suoi Vescovi:” Parlate chiaro e dite ciò che sentite”.
Sì, chiari con se stessi e, soprattutto, con quella umanità senza identitá coniugale, costretta a vivere alla periferia della Chiesa, dove, solo grazie all’aiuto di tanti sacerdoti, si vedono ancora nel cuore di Dio, il Quale non si stanca mai di cercare e trovare la meraviglia più grande da Lui creata: l’uomo.

La vita non è ricerca di esperienze, ma di se stessi

«La vita non è ricerca di esperienze, ma di se stessi. Scoperto il proprio strato fondamentale ci si accorge che esso combacia col proprio destino e si trova la pace». Così scriveva Cesare Pavese nell’opera autobiografica il “Mestiere di vivere”. Ogni singolo giorno che viviamo può essere paragonato al passare da una stanza ad un’altra di una dimora che non conosciamo; tuttavia, abbiamo un tempo prestabilito per addentarci in essa. Senza dubbio, posso affermare il fatto che questa riflessione mi è stata ispirata da un sogno che ho fatto.
L’ambientazione onirica mi ha proiettata in un corridoio collegato ad una camera luminosa. Quest’ultima aveva delle grandi vetrate al posto delle pareti. Tant’è vero che, attraverso esse riuscivo chiaramente a scrutare le tonalità via via sempre più sfumate del blu di un’insenatura marina. Ma, non appena le creste delle onde (a causa del vento) hanno raggiunto altezze incredibili, sconvolgendo la quiete di quel paesaggio, in preda allo spavento mi sono immediatamente allontanata da lì. A questo punto, non conoscendo il luogo in cui mi trovassi, ho cercato di pianificare un tragitto da percorrere. Tutto inutile: perdevo facilmente l’orientamento, ed ero sempre più insicura in merito alla strada che avrei dovuto intraprendere! Subito dopo, entrando in un’altra stanza (non molto lontana dalla precedente) tappezzata con pareti di velluto rosso e rifiniture in oro, ho avvertito un forte senso di inquietudine per essere finita proprio lì, tra la noia manifestata dai suoi occupanti e lo sfarzo eccessivo degli arredi. Da quel momento in poi, stabilii che avrei preso la direzione che mi avrebbe suggerito il caso! Per cui, il tempo di chiudere per un attimo gli occhi quando li riaprii, mi ritrovai di fronte gli scaffali polverosi di una libreria. Mentre stavo leggendo un titolo scritto in esili caratteri greci, per chissà quale motivo fui costretta ad abbandonare improvvisamente anche quel posto. Soltanto all’uscita mi resi conto di avere tra le mani il testo dell’Iliade omerica. Fra me e me, mi rassicuravo dicendo che, non c’era tempo da perdere, non bisognava fermarsi! Per non parlare poi delle persone che passavano al mio fianco, senza neanche accorgersi della mia presenza, distratti da chissà che cosa! In seguito, in preda a questo smarrimento apparentemente senza via d’uscita, ho preso delle scale per scendere ai piani inferiori. Più tardi, sono inconsciamente rinsavita a proposito della ragione per la quale ero lì. Ero sul punto di rinunciare all’impresa, quando alla fine decisi di incamminarmi verso un giardino. Non potevo sperare in nulla di buono, dal momento che non avevo ben presente chi dovessi incontrare e, il luogo esatto in cui dovesse avvenire tutto ciò! Però, l’unica cosa che mi fece sentire protetta in quel momento fu il fatto di potermi riparare sotto la chioma di un maestoso ulivo. I suoi rami mi diedero l’impressione di volersi annodare ai capelli, per non lasciarmi andare via. Subito dopo, avvertii la presenza di qualcuno a pochi passi da me. Ne ebbi timore, per cui mi alzai di scatto per vedere se mi sbagliavo o meno. Stentavo a credere ai miei occhi, quando capii che pochi metri mi separavano dalla figura celeste di un Angelo! Cosa che egli lasciò intendere subito, senza enigmatici giri di parole. Mi rassicurò pure in merito al fatto che, per tutto il tempo non mi aveva mai lasciata sola! Infatti, è dal cuore che si era messo in contatto con me. Il seguire l’eco della sua voce mi aveva aiutata ad uscire da quel labirinto!

In fin dei conti, anche se si è trattato solo di un sogno, esso si è rivelato in gran parte pregno di verità nel riscontro con degli eventi, che poi si sono in qualche modo verificati. A questo proposito, la lettera agli Ebrei 12,2 ripresa da papa Francesco al paragrafo numero 57 della Lumen Fidei fa proprio il caso nostro sostenendo che, la fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino. All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce. Cristo è colui che, avendo sopportato il dolore, «dà origine alla fede e la porta a compimento».
A cura di Teresa Perillo

La cultura dello scarto

 

 

Il nostro contesto sociale è  segnato da uno smarrimento mentale morale e religioso.

In esso assistiamo ad una crescita rilevante di tendenze individualistiche e materialistiche, che coinvolgono negativamente  un po’ tutte le relazioni umane, generando  non poche divisioni nella vita della collettività.

Certo, oggi più che mai, il nostro interagire è appesantito da una coltre di egoismo, che impoverisce ed, in certi momenti, uccide ogni sorta di amicizia e di solidarietà.

E se si consideri che le relazioni sono fondamentali per lo sviluppo dell’esistere quotidiano, possiamo ben comprendere che quanto più esse sono animate dal rispetto e dalla reciprocità di un profondo senso di umanità, tanto più  risulta  fecondo il cammino per la realizzazione della pace e  dello sviluppo integrale dell’uomo.

Purtroppo, questa immersione dello spirito nella spirale del materialismo e della dissacrazione  ha creato una chiara confusione tra le cose materiali e le stesse relazioni umane, trasformando la persona da
“qualcuno”   in  “qualcosa” , che si può anche mettere da parte.

E qui trova spazio la cultura dell’esclusione o dello scarto, che configura l’altro come se non esistesse affatto.

A questa cultura che avanza è  necessario rispondere con la cultura della solidarietà, che fa vedere nell’altro non un concorrente o un nemico,  ma un fratello, essendo tutti accomunati dalla stessa umanità.

Come aquila

 

Un vero gesto di carità fugge dalla gratitudine.

Non chiede plauso né sorrisi di compiacenza e tantomeno gesti di servilismo.

E’  un respiro di cuore che  va oltre il tempo, per trovarsi nel Cristo sofferente e bisognoso.

E’ come l’aquila che vola in alto, sicura della  bellezza e della potenza dei suoi artigli, che trafiggono non senza creare spinte di riflessione.

E la visione di chi si trova nell’indigenza, di  chi vive appeso agli occhi altrui, orante di qualcosa con cui sfamarsi, di chi ha reso la stazione un luogo di rifugio notturno, dove si deposita come fagotto,  non è forse un pugno di artigli, che squarciano il cuore?

Non è forse vera bellezza, nascente dall’anima, calare le proprie mani, se stesso su queste persone, che racchiudono il corpo trafitto di Cristo?

Ecco la carità!

Quella  che non ha risposte di  gratitudine, ma di silenzio, che schiude orizzonti, dove chi si muove verso l’altro, in nome e per conto di Cristo, vola veramente  come aquila, attratta dai pensieri e dalle vie di Dio.

Restate in me,porterete frutto

L’episodio evangelico della peccatrice che, nel contesto della casa del fariseo cosparge di olio profumato i piedi del Maestro, non prima di averli bagnati con le sue lacrime ed asciugati con i suoi capelli, resta nel tempo una delle pagine più commoventi del Vangelo di Luca. La donna, disprezzata dal resto della società per la sua discutibile morale, con il suo atto di omaggio verso Gesù fa l’esperienza unica e consolante dell’Amore e della Misericordia divina. Infatti, al Signore sono occorsi quei semplici gesti, quell’atto d’amore per appurare il cuore pentito della donna.
Ciò ci riconduce a quanto affermato da Benedetto XVI, a proposito della missione di Gesù. La sua solidarietà con tutti noi implica che Egli si esponga alle minacce e ai pericoli dell’essere umano. Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova (Gesù di Nazaret). Per cui, le parole pronunciate da Gesù alla donna:«I tuoi peccati sono perdonati! La tua fede ti ha salvata, va’ in pace!-» valgono come monito per ciascuno di noi, a non temere di avvicinarci a Lui, mediante il sacramento della Confessione.
Papa Francesco nell’enciclica Evangelium Gaudium insiste proprio sul fatto che annunciare, credere in Lui e seguirlo, non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù.
Pertanto, l’uomo, connubio di fede e ragione, deve lasciarsi guidare dall’Amore, confidare nella meraviglia rappresentata dal Suo Perdono, per poter realizzare a pieno quell’armonia interiore che solo il comprendere e il credere insieme possono produrre, essendo due note del medesimo accordo.

A cura di Teresa Perillo

La spiaggia: spettacolo di volti pensosi

 

Quanti sono pochi i bambini sulle spiagge!

Non si sentono più le loro grida nè si vedono le loro rincorse.

Sembra uno spettacolo di soli adulti, volti pensosi,  avviliti dai soliti problemi,  che,  benchè coperti da tratti di quiete,  esplodono all’ improvviso con parole gridate,  le uniche,  che i cellulari raccolgono e portano via.

Non ci sono più sguardi liberi ed intensi,  che si distendono nella visione del mare e del cielo,  che,  abbracciandosi in lontananza, potrebbero donare novità,  che vanno oltre il visibile.

Tutto è monotonia e non c’ è spazio per pensare diversamente.

Purtroppo,  è veramente difficile trasformare il buio nella bellezza della luce,  quando si appende la vita ai giochi del terribile quotidiano,  dove anche un figlio spesso può diventare motivo di fastidio.

Che strano Paese é il nostro!

Mentre la cronaca registra ogni giorno tante tragedie, consumate con ferocia inaudita; mentre gli Stati si combattono in nome delle religioni e la povertà aumenta nell’ indifferenza dei ricchi, qui, nel nostro Paese, ormai alla frutta, si trova ancora tempo per rendere problema di Stato la morte per incidente di un’ orsa.

Al di là del dispiacere che non manca mai in ogni cuore, che ama la natura; pur condannando la leggerezza di chi avrebbe dovuto avere un comportamento più vigile alla tutela dell’orsa, é certamente un pó troppo la visione di tanto spettacolo, al cospetto dei continui drammi umani, che restano, spesso, avvolti nel silenzio.

Che strano Paese é il nostro!

Ama rendere tragedia la commedia, senza disdegnare di fare commedia la tragedia.

Il fascino della natura

 

Il fascino della natura, non ancora contaminata dall’uomo, è  l’ immagine più bella per leggere la bellezza della creazione.

É  l’ incredibile che si manifesta realmente agli occhi, che, una volta sedotti, cercano le orme del suo Mistero.

In tale contemplazione é facile gustare l’ originaria freschezza, che non può non schiudere la nostalgia di Dio.

Ed  é  ancora piu facile sentire il peso della sofferenza per quanto di brutto l’ uomo  é  stato capace di infliggere al suo mondo.

 

La necessità di scoprire la sincerità del cuore

 

Oggi, appesi come siamo ai sorrisi delle maschere e delle fate,  preferiamo più ciò che ci impressiona che quello che veramente conta.

Ci lasciamo sedurre dalle grandi cose, cediamo alle moine studiate, che ci fanno manichini di attrazione, e non consideriamo affatto la semplicità di chi nelle piccole cose cerca di nascondere la sua anima.

Siamo troppo disattenti e mai guardiamo gli occhi di chi nel poco o nel molto potrebbe rivelare la veritá delle sue intenzioni.

Ci fermiamo all’ incanto di ciò che vediamo ed evitiamo spesso di entrare nelle modalità di approccio, che sono necessarie per scoprire persino la sincerità del cuore.

Per il cristiano il perdono non é un optional

La gioia di vedere una chiesa piena di fedeli è veramente grande, ma si smorza facilmente,  quando si constata tra loro che alcuni, pur sapendo mostrarsi bravi, sono incapaci di perdonare.

Oppure, pur stando l’ uno accanto all’altro, non si salutano e spesso rifiutano persino il segno della pace.

Addirittura, pur facendo ammirevoli gesti di carità, non dimenticano mai il torto ricevuto.

Così, il perdono che dovrebbe spandere il profumo della misericordia di Dio, che dovrebbe essere il distintivo perfetto di ogni cristiano e sostenere la sua credibilità, diventa un optional che si pretende da Dio, senza però saperlo donare e condividere con gli altri.

Agire in questo modo, significa rompere il ponte con Dio e autorizzarLo a trattare chi non perdona con lo stesso metro da lui usato con gli altri.