Categoria: Generale

Troppe energie mortificate dalla burocrazia

Troppe sono le energie frenate dalla burocrazia.

Molte sono le intelligenze mortificate dal sistema, che pasce piegato su stesso, senza briciole di creatività.

Anche se il potere grida progetti lungimiranti, grandi riforme, non si può  sottacere che nulla fa per eliminare quelle ramificazioni burocratiche, che si annidano in tantissimi enti periferici, spesso veicoli di mazzette e non di veri controlli.

Ed  è  proprio questo coacervo, che tarpa ogni iniziativa privata, gravandola di autorizzazioni e di vincoli, che non solo creano incertezze temporali, ma quasi sempre si risolvono in ambigui sorrisi venali.

Ebbene, non é possibile che in una congiuntura economica così fragile, con il più alto tasso di disoccupazione, possano ancora vivacchiare degli enti, la cui flemmaticità nelle risposte é divenuta proverbiale.

Cosa aspetta il potere per eliminare o almeno disciplinare queste sovrastrutture, che sono diventate un peso per coloro che sono costretti ad interfacciarsi con esse?

La responsabilità dei preti

 

 

I preti hanno una grandissima responsabilità, quando parlano dal pulpito.

Spesso non si rendono conto che a causa di ciò che dicono e di come lo dicono, creano in chi ascolta una cattiva fama di Gesù.

Purtroppo, in tanti manca, prima di parlare, il silenzio, necessario per accostarsi, con cuore docile ed orante, alla Parola di Dio.

Non sempre hanno familiarità con Essa,  per cui parlano più da padroni che da servi della Parola.

Ed anche se posseggono un grande bagaglio di cultura biblica, le loro troppe parole rimbombano come chiese vuote, ma non penetrano mai nel cuore di chi ascolta nè gli generano il pensiero di Cristo, che solo chi lo vive, lo può proclamare.

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

unoInizia il nuovo anno liturgico, che si apre, come sempre, con il grande periodo dell’Avvento. Etimologicamente tale termine significa “attesa, venuta, ritorno”. Attesa non di qualcosa, ma di Qualcuno, della venuta di Cristo, rivelatore di Dio e redentore dell’uomo. E’ un tempo particolarmente ricco di speranza, che getta intensa luce sul nostro presente, ove l’attesa di una Presenza viva, di una Parola che salva ci aiuta a superare la percezione del vuoto, il senso della precarietà, facendoci sentire pellegrini di Dio in cammino verso il cielo.
La vita di ogni cristiano, la nostra vita, è un continuo avvento, che però non deve chiuderci nella semplice rievocazione della nascita di Cristo, ormai per noi situata nel passato, ma deve proiettarci verso la sua venuta ultima e definitiva, quando, cioè, Egli verrà a giudicare il mondo e ad introdurci nel suo regno di gloria.
Ed è proprio verso questo avvento che noi tendiamo, immersi nel presente, ove cogliamo le sfide della storia, vivendole momento per momento alla luce del Vangelo, ma protesi verso il futuro di Dio, di cui sentiamo struggente nostalgia. Pertanto, in questo intermezzo tra le due venute, il Natale e la Parusia del Signore, noi ci giochiamo il nostro destino di eternità. Un destino che sarà tanto aperto alla trascendenza, quanto più vera è la rinascita della nostra vita in attesa del Dio che viene. Naturalmente, il miglior modo di vivere la vita in questo frattempo è seguire le orme da Lui tracciate, senza “vagare lontano dalle sue vie, indurendo i nostri cuori”.
La prima lettura, ripresa dal libro di Isaia, ci presenta un accorato lamento del Profeta, che medita sulle sventure del popolo di Israele, le cui “iniquità l’hanno portato via come il vento”. L’intervento di Dio è necessario per la salvezza del popolo ed è visto come un evento desiderato e sospirato:”Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” – dice il Profeta. E Dio in Cristo infrange i cieli, discende in mezzo a noi, rivela il suo volto di Padre e di redentore, ci rinnova, ci plasma come argilla, operando il rinnovamento dei cuori.
L’Incarnazione è la testimonianza più alta di quest’azione di Dio verso l’uomo, di quest’avvento del Signore nella nostra storia.
Ma Gesù ci parla anche di una seconda venuta al di là della sua morte e risurrezione: una venuta certa, ma incerta nel tempo:”quanto a quel giorno o a quell’ora – dice – nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Ci troviamo davanti ad un arrivo sicuro ma senza preavviso e senza data. Anzi, tutto è sorpresa ed imprevedibilità. Pertanto, la nostra posizione non deve essere di sonno o di indifferenza, di pigrizia o distrazione; ma di attesa e di vigilanza, di speranza e di fede, onde non farci trovare imbrigliati o legati al guinzaglio delle cose terrene.
Nel Vangelo di oggi è davvero impressionante l’insistenza di Gesù sul dovere di “vigilare”, espresso con una terminologia categorica ed imperativa:”vegliate, vegliate, vegliate”. E’ il grido, ripetuto per ben tre volte, di chi ama e vuole la nostra salvezza, che possiamo raggiungere soltanto se viviamo in un atteggiamento di vigile responsabilità verso il tempo, il nostro tempo, che passa e che rende, inevitabilmente, più vicino l’incontro con Dio.
La vita è veramente un affare serio! Perciò, non può essere sciupata, esaurendoci nelle solite assunzioni di maschere comportamentali prive di essere e di sincerità. Non può essere banalizzata, rincorrendo fantasie e mode che cambiano, tradite dalle continue esigenze di consumismo.
La vita va vissuta con serietà, cogliendo la vivacità della sua bellezza, antica e sempre nuova, ma senza mai perdere il gusto di Dio, che può arrivare improvvisamente.
Bellissima a tale proposito è la piccola parabola, offertaci dall’evangelista Marco, nella quale vengono sottolineati la certezza del ritorno del padrone, partito per un viaggio, e il clima di attesa dei servi, a cui affida i beni, che vivono nella indeterminatezza della sua sicura, ma improvvisa venuta.
Una situazione di incertezza temporale che porta con sé la necessità di essere pronti, non solo per scoprire le continue presenze di Dio in mezzo a noi, ma anche per essere aperti all’incontro definitivo con Lui. Certo, questo nostro tempo è privo di attesa, di speranza, di vigilanza, tutto è fermo nella spirale dell’immediatezza, che assorbe presente e futuro, allontanandoci persino dalla memoria del passato. Viviamo appesi ai nostri interessi, indifferenti agli spazi di vitalità spirituale e trascendente. Una sorta di eclissi morale e religiosa sta uccidendo ogni domanda di verità circa il destino della vita, ormai congelata soltanto nella cultura del benessere materiale. Anzi, molti oggi si proclamano senza religione o con l’idea di un piccolo “dio”, esibito a mo’ di etichetta sentimentale. Sedotti dalle cose di facile possesso e piacere, restano indifferenti alle domande più radicali, preferendo il vuoto esistenziale, anche se riempito di cose, piuttosto che la realtà di un Dio, che ha “squarciato” le tenebre della storia, per incontrarsi con l’uomo. Ebbene, in questo tempo di avvento, occasione propizia per ripensarci alla luce di Dio, noi cristiani dobbiamo affrontare queste sfide non con la cultura del tempo, ma con la forza del Vangelo, sempre piu’ fresco ed attuale di qualsiasi cultura umana.
Però, mai dobbiamo assopirci, spegnendo la fiamma della fede, della speranza e della carità. Dobbiamo essere sempre svegli, capaci di cogliere i piccoli avventi di Dio nella storia di ogni giorno, in modo da farci trovare irreprensibili per il grande avvento finale, quando su ciascuno di noi, Lui, Giudice Universale, poserà il suo giudizio di vita o di morte, di premio o di condanna, di benedizione o di maledizione, a seconda delle opere di carità e di misericordia compiute.

La caduta di un sogno

Quando incominci a desiderare voli diversi, non più a bassa quota o  sulla stessa lunghezza d’ onda,

vuol dire che cerchi orizzonti nuovi, dove pensi di appagare i fremiti della curiosità, che bussano

alla porta del tuo cuore.

Non vedi più né il poetico arcobaleno che univa ogni nostro pensiero né il reciproco sorriso,

che ci vedeva camminare all’ ombra della sua visione.

Tutto é scaduto ormai in un chiaroscuro incerto, dove ricordi e sogni sono solo poveri cocci.

 

Essere all’ombra di altri

 

 

A che serve essere qualcuno e sentirti poi prigioniero di ciò che sei all’ ombra di altri?

Non è più appagante vivere come nessuno, ma libero, senza vincoli sospesi sempre al raggio d’ azione altrui, che determina persino i tuoi pensieri?

Ricordati che la vita si fa bella e si copre di entusiasmo solo quando gli occhi e le labbra si aprono per dire sì oppure no in armonia con la coscienza e non per piacere ad altri.

In un uomo non c’ é povertà peggiore che parlare con la bocca degli altri, pur sapendo di non condividere il contenuto di ciò che riferisce.

Come é misericordioso il nostro Dio!

Un giorno mi fu chiesto: ” Padre, quale sorte avranno i miei tanti gesti di carità,
che faccio sempre in nome di Cristo, se non riesco a superare le mie solite debolezze?”.
Ricordati che Gesù ti ha redento – risposi – ma non ti ha reso perfetto.
La tentazione ti cammina accanto, é sempre in agguato e, per quanto tu possa essere forte,
non é difficile ascoltare lo scricchiolio del cuore.
Importante é saper raccogliere i cocci di ogni caduta e presentarti, così come sei,
alla misericordia di Dio, che non dimentica mai,neppure uno,i gesti di carità compiuti.
Anzi,li conserva gelosamente nello scrigno del suo cuore,
a differenza dei peccati, che li getta alle sue spale.

Avaro persino di un sorriso

L’ avaro non è solo chi invecchia nella gabbia del proprio denaro,

ma è anche colui che trattiene qualsiasi sorriso d’ amore.

Uno sguardo sempre tetro, coperto da una fuliggine di cattiveria,

lontano da ogni respiro di cuore, è  l’ immagine più rachitica dell’ uomo.

Eppure, nel mondo non c’ è bellezza più intensa e profonda che quella di un uomo,

che,  aldilà del molto o del poco,  che ha e può dare,  è sempre pronto a spendersi con gioia.

Invece, é veramente una tristezza vedere chi vive solo per sè,  nel guscio delle sue passioni,

indisponibile ad uno sguardo o ad un sorriso di benevolenza.

 

La Chiesa:ancora piramide da scalare?

Rivalità, vanagloria, pettegolezzo, fatto passare spesso come intarsio di mezze verità, sono il trastullo di tanti all’interno della Chiesa, vista ancora come vecchia piramide da scalare e non come Popolo di Dio, dove essere scelto é un vero servizio.

La voglia di primeggiare é un tarlo, il cui ronzio é costante e facilmente buca qualsiasi consistenza, non importa se a danno della stessa immagine e comunione sacerdotale, che cedono alle arti mirate di chi si sente attratto troppo da abiti e ruoli diversi.

Veri spazi di conquista, ideati nella provetta del carrierismo e favoriti dai signori del potere, i quali  rendono straniero alla loro vita la presenza dello Spirito Santo,

che se invocato, indicherebbe certamente strade ed uomini nuovi.

 

Come é possibile pensare alla tua Paternità,o Signore!

Non è facile guardare negli occhi un giovane padre mentre muore, e poi pensare,
o Signore, alla tua Paternità, che si dispiega in infiniti rivoli di misericordia.
Ascoltare il suo desiderio di invecchiare con i figli, mentre l’ombra della morte
l’ avvolge, rubandogli lentamente quei pochi respiri che gli restano o vederlo
stringere al petto nel suo letto il proprio bambino, ultimo testamento d’amore,
e poi sentire il Tuo silenzio, che si fa come un macigno pesante, quasi pietra tombale,
che seppellisce ogni speranza.
Eppure, che strano silenzio è il Tuo, o Signore!
Da una parte cala il sipario, dall’altra apre ad una luce nuova, che fa del suo calvario
una partecipazione della Croce di Cristo.
E proprio qui  riveli il tuo amore di Padre, che raccoglie  i suoi ultimi istanti,
così come raccogliesti quelli di tuo Figlio, nella cui morte e risurrezione c’ è  il destino di tutti.
Mistero di vita e di morte non misurato né capito nel tempo, ma solo nell’ orizzonte dell’eternità.

XXXIV Domenica

cristoOggi è l’ultima domenica dell’anno liturgico. Con essa termina il tempo ordinario, costituito da 34 domeniche, durante il quale abbiamo meditato il mistero di Cristo, Messia dei poveri e Messia della sofferenza. Tale ciclo si chiude con la visione della regalità di Cristo, che sintetizza tutta la storia della salvezza. Anche se tale festa, Cristo, re dell’universo, è di recente istituzione, essendo stata proclamata da Pio XI con l’enciclica “Quas primas”, alla fine dell’Anno Santo 1925, essa risale a Cristo stesso, il quale, alla domanda di Pilato se davvero fosse re, risponde:” tu lo dici: io sono re”. Ma la Chiesa, proponendo tale solennità a conclusione dell’anno liturgico, ci invita a penetrare il mistero di Cristo, quale re – pastore dell’umanità e giudice universale. E le tre letture bibliche odierne ci offrono un quadro abbastanza completo del senso di questa regalità, che non va vista in termini di potere, ma di servizio; non di semplice sovranità su cose e persone, ma di amore premuroso verso tutti. A tale proposito, bellissima è la prima lettura, ripresa dal libro di Ezechiele, ove il Signore appare come il Pastore del suo popolo. Un pastore – re che non domina, ma serve il suo gregge. Il profeta sottolinea questa regalità di servizio, usando una serie significativa di verbi: ”cercare, passare in rassegna, ricondurre le pecore disperse, curare quelle più deboli e ferite”, verbi che esprimono la paterna premura di Dio, che si fa amoroso compagno di viaggio dei suoi figli. Nello stesso tempo, ci anticipa che questa regalità di amore è anche una regalità di giudizio, così come leggiamo nella frase conclusiva di Ezechiele:”A te, mio gregge – dice il Signore Dio – : ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”. Una frase che prepara lo scenario del giudizio finale, che troviamo descritto nel brano evangelico odierno.

Ebbene, anche San Paolo nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinti, celebra la regalità di Cristo, il quale è re soprattutto perché ha vinto la morte. L’Apostolo nella risurrezione vede un gesto di potenza, di regalità sovrana che supera gli stessi confini della morte. Nello stesso tempo, vede nella vittoria di Cristo, nuovo Adamo, la nostra futura vittoria. Infatti, se Cristo risorto è la primizia della nuova umanità dei redenti, proprio perché primizia, Egli ci unirà in questo suo trionfo finale, consegnandoci, insieme con Lui, al Padre. Lo stesso concetto, ma in maniera più pregnante, lo troviamo nel Vangelo di oggi, che conclude il discorso escatologico di Gesù. Qui, Matteo ci presenta l’ultimo atto della storia della salvezza, la scena del giudizio universale che Gesù Cristo, indicato con vari titoli di trascendenza: Figlio dell’uomo, re, pastore, Signore e giudice, emetterà sull’operato degli uomini, quando compariranno davanti a Lui. E il Suo sarà un giudizio di benedizione o di maledizione; di premio o di condanna; di vita o di morte. Sarà una Krisis, una separazione, cioè, dei buoni dai cattivi, dei figli della luce dai figli delle tenebre:” Il Figlio dell’uomo……separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri”. Il metro usato nell’atto di “separare” non si basa sulla straordinarietà delle azioni compiute, ma sulle opere di carità e di misericordia; sullo spazio di amore che abbiamo saputo vedere e costruire per i nostri fratelli: ”ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Con queste parole Gesù tesse la tela della salvezza sulla forza della carità, calata soprattutto sugli ultimi, con i quali mostra di identificarsi :”in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Pertanto, il nostro incontro con Cristo va preparato ed anticipato, riconoscendoLo, in questo frattempo di vita terrena, nella persona dei poveri, degli affamati, degli emarginati. Il che significa che ogni volta che le nostre mani si riempiono di carità per donarla ad altri; ogni volta che  il cuore si apre all’accoglienza in un abbraccio di amore concreto; ogni volta che il nostro sguardo si posa o i nostri piedi si incamminano verso chi è nell’indigenza, noi entriamo in perfetta sintonia con Dio; viviamo con le stesse mani, lo stesso sguardo, gli stessi piedi di Cristo. E saremo da Lui benedetti, ricevendo la ricompensa dell’eredità eterna. Viceversa, ogni volta che chiudiamo il nostro cuore al prossimo o fingiamo di non sentire il grido di dolore di chi è in difficoltà; ogni volta che gli opponiamo le barriere dell’egoismo, intenti solo ad accumulare per noi stessi e sordi alle richieste di carità, noi non facciamo altro che squarciare la tela della salvezza, con il rischio di essere allontanati dal regno: ”Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Pertanto, alla sera della vita e della storia, noi saremo giudicati sull’accettazione o sul rifiuto di Cristo, che ha voluto identificarsi con tutti quelli che soffrono. Anzi, il prossimo, qualunque sia, diventa il vero specchio nel quale possiamo vedere e misurare la nostra identità cristiana; l’unico video nel quale possiamo leggere il grado di amore verso Cristo.