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TERZA DOMENICA DI AVVENTO

La liturgia della parola di questa terza domenica di avvento è dominata da un intenso afflato di gioia. A differenza delle prime due domeniche, ove abbiamo respirato un’aria più austera e penitenziale, qui assaporiamo una gioiosa speranza, una gioia segreta e profonda, che consiste nell’attesa della salvezza ormai vicina.

Nella prima lettura, ripresa dal libro di Isaia, sentiamo il grido del Profeta, che è un vero invito alla gioia:” Io gioisco pienamente nel Signore – dice – la mia anima esulta nel mio Dio”. Il salmo responsoriale ci fa pregare con le stesse parole proclamate da Maria nel Magnificat, le quali certamente si ispirano al brano di Isaia:”L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”. Anche S.Paolo, scrivendo alla comunità di Tessalonica, propone un codice di comportamento per accogliere il regno di Dio che è in mezzo a noi:”Siate sempre lieti – dice -, pregate incessantemente……non spegnete lo Spirito”. Certamente sulle labbra di Giovanni Battista – figura centrale del Vangelo di oggi – non troviamo il sorriso. Le sue parole, asciutte e penetranti, sono lame sottili che affondano senza guardare in faccia a nessuno. Però, anche nel suo cuore c’è la gioia, che nasce dalla consapevolezza di annunciare la venuta di Gesù e dal desiderio di rendergli testimonianza. Del resto, quella della gioia è una dimensione essenziale al nostro credere ed al nostro vivere cristiano, che dovremmo sempre testimoniare, se vogliamo evitare accuse di incapacità a mostrare il volto di salvati, di redenti. Il messaggio delle letture bibliche si pone come campanello di allarme per uscire dalla insoddisfazione, dalla tristezza, dall’assenza di valori vitali; nello stesso tempo, rappresenta uno stimolo alla sequela, all’annuncio, alla testimonianza gioiosa. Naturalmente, la gioia proclamata dalla liturgia odierna non è la felicità festaiola, superficiale e sfuggente di un natale vanificato e commercializzato dalle esigenze del consumismo, ma è la certezza della presenza misteriosa di Gesù in mezzo a noi, punto di riferimento delle nostre piccole e grandi scelte. Ebbene, il brano evangelico è tutto centrato sulla persona di Giovanni Battista. E’ lui che rivela Gesù ad Israele; è lui che può e deve rivelarlo anche a noi in questo natale che sta ormai per venire. E’ lui però che potrebbe rivolgerci lo steso rimprovero che fece ai Giudei:”in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”.

Infatti, come loro, anche noi, se non avremo una fede alimentata dallo Spirito, rischiamo di non vedere Gesù, che ritorna e sta in mezzo a noi. Il Battista è il testimone per eccellenza a favore di Gesù. E la sua è una testimonianza che continua tuttora nella fede della Chiesa e nell’annuncio liturgico. L’evangelista Giovanni, autore del quarto vangelo, ne delinea, in maniera precisa, il ritratto di precursore di Gesù, i cui lineamenti, già domenica scorsa, ci sono stati disegnati dal vangelo di Marco. Nelle parole evangeliche odierne emerge tutta la grandezza del Battista e la sua missione nella storia della salvezza:”Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce…”. Il Battista, quindi, non è il Messia, non  è la Luce. Egli è la voce dell’Altissimo; è “l’uomo mandato da Dio”, per rendere testimonianza alla luce che sta per sorgere, Gesù Cristo. E’ l’autentico interprete della testimonianza cristiana. La sua figura è impressionante. La sua personalità è esemplare. Grande è la sua linearità di condotta. La sincerità e la lealtà; l’onestà e l’amore per la verità fino al sacrificio di sé; l’umiltà e l’assenza di vanagloria davanti al plauso popolare, esaltano la sua persona e la rendono attuale, oggi più che mai, dove il bisogno di autenticità e di testimonianza è fortemente sentito. Infatti, nello smarrimento mentale, morale e religioso della nostra società, non c’è tanto bisogno di maestri, quanto di testimoni, che sappiano mostrare il motivo ed il fondamento di una speranza sicura: Gesù Cristo. C’è bisogno di testimoni della gioia che sappiano preparare con opere di carità fraterna e con la preghiera fiduciosa, il cuore di ogni uomo al Cristo che viene. Purtroppo, la visione di ciò che ci circonda: violenze, discriminazioni, povertà autentiche e nuove, insicurezze esistenziali, reazioni sconsiderate, è espressione di un profondo malessere.

Noi siamo tristi. Non viviamo più bene. Sedotti dalla cultura delle apparenze, dalla volontà di dominio su persone e cose, abbiamo abbandonato Dio. Anzi, “Dio non si rivela più, sembra     essersi      rinchiuso    nel    suo    cielo, quasi    disgustato dal  nostro agire”. Il silenzio di Dio è una grande tragedia per l’umanità, che “si sente priva di pace, di salvezza e speranza”. Ma noi possiamo squarciare questo silenzio, facendolo ridiventare Presenza viva, Parola vera e dialogante, a condizione che il nostro cuore, illuminato dallo Spirito, si apra alla conversione. Ed è proprio la conversione di cuore e di condotta che cambia i pensieri e le decisioni di Dio verso di noi, facendoci non solo gustare il ritorno alla gioia e alla speranza futura, ma riscoprire anche i suoi continui passaggi nella ferialità della nostra vita.

È triste chiudersi nelle proprie mura

 

È triste chiudersi nelle proprie mura,  blindarsi in esse

senza aprirsi a barlumi di luce o donare briciole d’ amore.

È bello invece interpretare le pareti e le stesse mura della propria casa

come qualcosa di elastico,  usabile per chiunque bussi e chieda un sorriso di ospitalità.

Non è forse vero che, un giorno, l’ usura del tempo divora tutto, persino le mura più solide,

mentre lascia intatti quei cestini di carità,  che  il cuore prepara ed offre senza preferenza?

Finchè  l’ uomo vivrà appeso all’ idolatria delle sue cose e si misura solo su di esse,  godrá si

del suo scrigno dorato,  ma mai sentirá in pienezza il profumo della sua e dell’ umanità altrui

Vivere o raccontare la fede?

Molti cristiani hanno imparato bene a raccontare la propria fede,
ma nulla dicono come la vivono.
Dimenticano che le parole da sole non fanno sequela, creano incertezze,
soprattutto se racchiudono sintomi di incoerenza.
Non credo troppo a chi racconta la fede come un contenitore di parole,
che sembrano ostentare soltanto se stesso.
Mi faccio, invece, sempre sedurre da chi, senza parlare, si racconta
con la vita: un intarsio di amore a Dio e al prossimo.

Uomini e cristiani mancati

Troppo parliamo della Chiesa e di Gesù, poco o quasi nulla viviamo come Lui.
Ci perdiamo in continue chiacchiere e non ci rendiamo conto che alla fine
restano solo un mucchio di parole, alle quali manca ogni respiro di fede.
Amiamo le mezze verità, soprattutto quelle di comodo, e non disdegniamo
di farle passare come la Verità.
Pur sapendo ciò che dobbiamo dire e fare,non lo diciamo né lo facciamo.
Siamo diventati i prigionieri della nostra incoerenza: agiamo non come pensiamo
e pensiamo diversamente da come agiamo.
Così offuschiamo Cristo e la stessa Chiesa, che si riduce a povero ricovero
di uomini e cristiani mancati.

 

Il Mistero

Come vorrei comprendere

il Tuo e il mio mistero

turbinio di idee che si

fermano quasi sempre là

dove è la soglia Ultima

A volte allungo le mani

perché mi sembri Vicino

a volte ti vedo Lontano

come un specchio magico

ove la identità Tua mia

si velano e si rivelano

Ma Tu,Lontano Vicino,se

veramente mi ami perché

non mi sussurri chi sei?

Non mi dici io chi sono?

Se Tu,o Dio,sei l’unico

sogno per il quale ogni

attimo io consumo,fammi

incontrare con il Sogno

sì da vedere l’Infinito

sulla nebbia della fede

e rendermi uomo di luce

 

 

E vedo l’incredibile

Ogni giorno mi dedico un pò di tempo, non per i miei capricci,
ma per leggere, lungo la strada, i comportamenti verso i poveri.
E vedo l’incredibile.
Persone che passano oltre, con gli occhi abbassati ed a passi svelti,
e sono quelle che, negli incontri, parlano sempre di solidarietà e amore.
Altre che si fermano, solo per qualche istante, con le mani nelle tasche
e subito vanno via, per paura di confrontarsi con la propria coscienza.
Poche che guardano, parlano, donano un sorriso e, senza farsi notare,
quasi di nascosto, depositano un obolo nel cappello che essi tendono.
E sono proprio quest’ultime,che, a differenza delle prime solo parole,
rivelano un afflato di vera carità cristiana.

 

SECONDA DOMENICA DI AVVENTO

avTutti e tre i brani biblici esprimono un senso profondo di attesa gioiosa e trepidante. C’è qualcosa di inaudito, di nuovo, di molto importante che deve avvenire; c’è soprattutto Qualcuno che deve venire. E per questo Qualcuno, Gesù, ogni credente è invitato a vivere nell’attesa, proiettato nel futuro, senza però mai perdere il sapore del proprio presente, della propria quotidianità, nella quale deve saper leggere e cogliere la presenza di Dio. Perciò, la nostra non è un’attesa inerte, passiva, ma viva e creativa; non è un’attesa che si esaurisce nella semplice rievocazione di un fatto passato, quale è appunto la nascita storica di Gesù, ma è un porsi in un atteggiamento di vigile responsabilità verso il Signore che viene: la seconda venuta di Gesù, quell’ultima e definitiva, quando Gesù,cioè, verrà per giudicare il mondo e per introdurci nel suo regno di gloria. Noi siamo e viviamo questo frattempo, questo intermezzo tra la I^ e la II^ venuta non chiusi nel guscio delle nostre aspettative, ma su di una linea di preparazione e di vigilanza mendicanti del cielo, aperti al divino che entra nella nostra storia. Viviamo questa attesa nella consapevolezza che Dio non è una statua fredda, rigida, indifferente alle nostre ansie, ma è un Padre di misericordia e di consolazione, fermo sulla soglia di casa per accogliere il peccatore pentito. “Consolate, consolate il mio popolo -dice il vostro Dio-– Leggiamo nel Profeta Isaia. Parlate al cuore di Gerusalemme” perché “ha scontato la sua iniquità, cioè si è convertita”.

Dio non smette mai di stupirci. Gerusalemme oggetto del Suo castigo, diventa oggetto di amore senza confini. Dio si fa tenero, di una tenerezza materna e paterna, sino a manifestarsi pastore nella tutela dei suoi figli.

E questo cambiamento di salvezza non è un fatto meccanico oppure automatico. E’ la conversione di Gerusalemme che quasi costringe Dio alla diffusione della sua misericordia, della sua consolazione.

A questo punto si inserisce una voce misteriosa che il profeta lascia volutamente nell’anonimato per creare un clima di maggiore attenzione:”una voce grida: nel deserto preparate la via al Signore”.

Subito dopo lo stesso Profeta immagina che uno si distacchi dal gruppo dei reduci e si affretti a portare il buon annuncio a Gerusalemme:”Alza la voce, non temere,… “Ecco il vostro Dio. Ecco il Signore, viene con potenza. Come pastore Egli fa pascolare il gregge…….conduce pian piano le pecore madri”.

Sono parole belle, disarmanti che da una parte manifestano la bontà di Dio, dall’altra originano in noi credenti una vera nostalgia di Dio.

Intanto, quella voce misteriosa del profeta Isaia, esce dal suo  anonimato e nel Vangelo riceve un volto ed un nome: è Giovanni Battista. Il quale predica e prepara la venuta di Gesù non solo con la sua voce secca e vibrata, ma soprattutto con il suo stile di vita, che è una predica travolgente.

Il fatto poi che vesta di peli di cammelli, mangi locuste e miele selvatico o viva nel deserto, oltre a dimostrare il suo spirito di penitenza, evidenzia la ricerca appassionata delle cose che contano: Dio, la preghiera, la libertà interiore, la linearità di condotta. Elementi questi che costituiscono quella conversione per il perdono dei peccati che il Battista predica ed esprime plasticamente mediante il suo battesimo di acqua.

Come si vede, Giovanni Battista lega l’avvento del Messia alla conversione del cuore: là dove non c’è conversione, il Messia non viene.

Ora quale è il nostro atteggiamento nei confronti di questo dono di Dio che viene?

Il pericolo è la nostra indifferenza oppure la tentazione di crearci un dio, un piccolo dio a nostra immagine e somiglianza. L’indifferenza che ci fa sentire attaccati al guinzaglio di un padrone inesistente;l’immagine ridotta di Dio che è il frutto delle nostre idolatrie quotidiane.

L’Avvento si pone come un campanello di allarme per non cadere in queste situazioni. Anzi,se non usciamo dalla trappola di queste tentazioni,l’avvento di Dio sarà semplicemente un’etichetta di circostanza,un’emozione occasionale,senza alcuna potenza trasformante,senza alcuna volontà di conversione,l’unico e vitale veicolo per farsi prendere e sedurre dalla vicenda di Gesù Cristo.

E’ il cuore che dobbiamo svuotare,per poterlo riempiere  di Gesù.

E, avendo Gesù nel cuore,ci sentiremo realmente nel cuore di Dio.

 

 

 

 

 

Il grilletto dell’impazienza

La pazienza é una ricchezza che facilmente sperperiamo.
Una parola o uno sguardo non graditi, un gesto o un cenno di contrarietà
rompono spesso il collante di equilibrio e creano incerte dosi di insofferenza.
Abbiamo perduto il senso della tolleranza.
Non riusciamo a sopportare più nulla e nessuno.
Basta poco per far scattare il grilletto della collera.
Siamo diventati troppo familiari all’ impazienza, per cui appena toccati,
contestiamo tutto, persino un sorriso o una parola di affetto, che,  in momenti diversi,
sarebbero stati certamente motivo di profonda felicità.

La necessità di esercitare il proprio ruolo

 

Nel poco o nel molto ognuno ha la responsabilità della gestione.

Sottrarsi al proprio ruolo, facendosi trascinare dagli eventi, con il rischio di perdere tutto

sia il poco che il molto, è un pò come porre una pietra tombale sul futuro  proprio e degli altri.

Chi occupa un posto di prestigio o meno, ha il dovere di attenzionarlo con il  senso profondo della diligenza

consapevole che un esatto espletamento può essere traino di benessere morale e sociale.

Non basta bearsi solo della prosopopea: stare in alto,  senza nulla fare,  è come sedere sull’ orlo di un precipizio.

Una spinta e chiunque potrebbe rovinare,  in un vortice senza ritorno.

Viceversa,  avere un ruolo ed esercitarlo con semplicità ed umiltà,  nell’interesse del bene comune,

è un costante volo in alto,  dove é facile cogliere la bellezza e il valore della propria dignità.

 

Il silenzio di Dio e il nostro silenzio

Dio tace non perchè stanco dei nostri capricci, ma solo per farsi cercare ed ascoltare.

Egli mai ci abbandona nè ci lascia in balia di noi stessi.

Il suo silenzio non è un isolarsi da noi, è semplicemente un invito ad essere suoi cercatori.

Infatti, Egli non vede l’ora di incontrarci.

Ciò che fa paura,invece, è il nostro silenzio,soprattutto quando è involucro di tenebre, possesso di beni ed allontanamento dalle cose di lassù.

E questo è il silenzio, che chiude la porta ad ogni speranza e rumina Dio come una semplice invenzione;fissa lo sguardo nel vuoto senza estasi e sciupa il tempo senza istanti di luce.