Categoria: Generale

L’energia dei tuoi talenti

ipocrisiaNon avvicinarti all’altro, pensando di renderlo usabile per ciò che vuoi.
Aldilá delle delusioni che mai mancano alla finestra di ogni prospettiva,
è poco esaltante svilirti nella rincorsa ad una meta che pone a supporto
modelli di pensieri, che trasformano il gusto dell’umano in povera cosa.
Se vuoi e puoi, utilizzi solo ciò che è in te: poco o molto, non importa.
Ciò che conta è la gioia che provi nell’usare l’energia dei tuoi talenti

Una tacita preghiera

Nell’ora della notte,quando tanti dormono
ponendo in oblio ansie e gioie del giorno
io sprofondo nell’estasi del silenzio,ove
a tenere sveglia la mia anima è la Parola
che si fa immagine dell’Amore e m’avvolge
gemmandomi nella bellezza del Suo mistero
Nell’ascolto io mi apro e sento che anche
le mie parole emettono un profumo diverso
come se fossero effluvi della Sua potenza
La interpello e da Essa attento mi lascio
interpellare,vivendo una tacita preghiera
che fa sibilare le corde del cuore di Dio

Senza più sirene

nonsaQuando avrai il coraggio di dire basta a chi, approfittando del tuo affetto,
ti invade, fino a suggestionare il sí con il no e viceversa,
significa che stai per essere un vero uomo.
Non più prigioniero della parola calamita, che ti stringe in una morsa
e ti rende mendicante di un sorriso o di un gesto d’amore, ma libero
come un’aquila, che conosce la sua dignità e vola senza più sirene.

 

Tu ridi, io rido

uomoTu ridi, io rido.
Ci rincorriamo, ridendo come due bambini,
in un girotondo di sguardi,
che presto finiscono nel pianto.
È il nostro mondo,
fatto di continui sorrisi,
maschere di occasioni,
che nascondono l’amarezza delle lacrime.

SECONDA DI AVVENTO

secondaNel cuore della storia umana, Dio si è fatto vedere, senza cessare di essere nascosto, in un volto, quello di Gesù. I brani biblici di questa seconda domenica di avvento sono un richiamo a credere che Dio è veramente venuto nel mondo; che l’eternità realmente è entrata nel tempo; che la storia non è un rincorrersi di vicende umane senza Dio, ma è una storia di salvezza nella quale Dio è coinvolto in prima persona. Il suo ingresso nella storia viene posto dall’evangelista Luca in una cornice di coordinate temporali: siamo cronologicamente nella Palestina, durante l’impero di Tiberio, successore di Augusto, tra il 26 ed il 29 dopo Cristo; vari sono i personaggi che Luca riferisce, quasi per chiarire non solo la situazione politica e morale della Palestina, ma soprattutto per sottolineare che la figura di Gesù non è un’idea, un mito oppure un’entità vagamente spirituale, ma è una realtà storica, una persona divina, inseritasi nel nostro orizzonte terreno, per edificare il regno di Dio: regno di giustizia, di vita e verità, di santità e grazia e di amore.

Ma aldilà di questa inquadratura cronologica, che ci proietta in un momento storico nazionale ed internazionale dell’impero romano, il testo del Vangelo odierno rivela un ritratto limpido della persona di Giovanni Battista e della sua predicazione. Un ritratto modellato sulle parole  – del profeta Isaia, profeta anonimo, a cui si attribuiscono i capitoli  40 – 55 del libro – nelle quali si canta il ritorno degli Ebrei, esuli a Babilonia, alla terra dei padri. Un ritorno che viene presentato come una processione liturgica, nel canto e nella gioia, la quale si snoda nel deserto tortuoso della Mesopotamia e della Siria.

Proprio in tale contesto si inserisce l’immagine della strada, della via che deve diventare un tracciato rettilineo e pianeggiante, che permette l’accesso, in modo sereno e tranquillo, al tempio di Gerusalemme. Adesso, possiamo comprendere il contenuto della prima lettura del profeta Baruc, il quale invita gli Israeliti, esuli dall’esilio, a percorrere con gioia la via della libertà verso la salvezza:” poiché Dio – dice il profeta – ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio”.  Una frase questa che stabilisce un ponte ideale con quanto grida Giovanni  Battista:”Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone  sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.

Ci troviamo al cospetto  di immagini forti, che sembrano alludere a trasformazioni sostanziali nella configurazione del deserto; invece, esse prospettano una profonda conversione, autentici cambiamenti personali e sociali, una vera inversione esistenziale di mentalità e di cuore.

“Preparate la via del Signore”, significa appunto rimuovere tutto ciò che ritarda oppure impedisce il Suo ingresso nei nostri cuori. Dio non entra là dove esistono “le alture” dell’arroganza e dell’orgoglio; là dove ci sono gli “avvallamenti” della freddezza e dell’indifferenza; là dove imperversano le tortuosità morali e spirituali.

“Preparate la via del Signore” , significa riconoscere il proprio essere creature, fatte dal proprio Creatore, per gustare la bellezza e la fecondità della filiazione adottiva; significa abbassare, a livello sociale, il fossato che separa i ricchi dai poveri, riempiendo le lacune della fame, della ignoranza e della povertà. Il grido del Battista, acuto e penetrante insieme, oggi più che mai riveste tutta la sua forza propulsiva, in quanto si è allargato il deserto dell’incredulità e dell’apatia religiosa; si è acuita l’indisponibilità alla accoglienza degli ultimi.

Pertanto, l’Avvento si pone come presa di coscienza di tale smarrimento e, nel contempo, come esigenza di condivisione dei valori essenziali del Vangelo: amore verso Dio e amore verso il prossimo. L’unica via di accesso alla casa del Padre.

 

 

 

 

Fisso come un bambino

Fisso come bambino un cielo inespressivo
che ostacola ogni voglia di contemplarlo
sembra un panno scuro bagnato,che stenta
a cadere pur rumoreggiando un pò ovunque

All’improvviso in un gioco di luci folli
intervallate da tuoni simili a cannonate
comincia a diluviare,risucchiando presto
ogni vivente,che cerca ripari alla morsa
dell’inatteso nei nascondigli di fortuna

Guardo dall’alto e incosciente non tremo
anzi sono preso dalla natura,che ostenta
la potenza come in un sogno,per destarsi
subito dopo in un arcobaleno di serenità

Vado avanti

prodStanco, ma non distrutto,continuo a camminare.
Non tanto per me, quanto per gli altri.
Non mi fermo mai, se non per guardarmi dentro
e chiedermi se vale la pena, dopo aver scoperto
l’ingratitudine di chi beneficia del mio sudore.
Vado avanti, convinto che quanto mi tormenta
è poca cosa rispetto ai tanti battiti di gioia,
che il cammino mi crea,  man mano che vedo la meta.

 

Contenitore di banalità

banaPiù contenitore di banalità che di valori rischia di diventare il nostro mondo,
i cui contorni sembrano patine di resina,che si sgretolano all’ombra del tempo.
Chiunque trova difficoltà ad orientarsi in esso, soprattutto quando la visione
dell’oggi si consuma nel gioco di fragili passerelle, dove conta solo l’apparire.
È deprimente assaporare ogni giorno il vuoto di sè, aperto a sottili delusioni,
che crescono sempre di più, man mano che si perdono i punti di riferimento.

 

Politica arrugginita

Non hanno il coraggio di cambiare direzione

accendono solo lucciole di speranze,gridano

tanti cammini nuovi,senza mai indicare orme

di verità;fingono,mentre lo Stato precipita

sotto il peso di una locomotiva arrugginita

intasata di letame della politica che muore

della burocrazia che strangola ogni impegno

della magistratura che trasborda dai limiti

della sanità che mangia denaro senza curare

E noi siamo diventati nudi e persino restii

a levare contro di essi la voce di protesta

sapendo che nulla muta per le nostre attese

trafitte dalla sapienza economica che cerca

solo di scrutare le solite tasche,e tutto è

ben misurato per mantenere i loro privilegi

che come gabbiani sornioni su vecchi scogli

difendono,non disdegnando di roteare,quando

gli stimoli della fame bussano allo stomaco

PRIMA DI AVVENTO

    avv. 1 L’Avvento è tempo di speranza, di vigilanza, di risveglio; non è un momento a sé stante, nella ricerca di emozioni da vivere al cospetto di chi ha rivoluzionato la traiettoria della storia umana, ma è un modo di vivere e di pensare secondo Cristo e secondo il suo Vangelo. Così vissuto, l’Avvento è o diventa realmente il paradigma di ciò che deve essere la nostra esistenza. Un’esistenza non chiusa nel torpore delle false sicurezze, ma attenta a cogliere i segni del passaggio del Signore, che bussa alle porte del nostro cuore.

Oggi più che mai dobbiamo sapere chi siamo, dove andiamo; dobbiamo conoscere quale è la nostra speranza. Non possiamo capire la nostra umanità, se guardiamo solo al presente: noi   siamo proiettati nel futuro.  Ed è solo questo futuro che ci manifesta chi siamo. L’Evangelista Giovanni dice:”Carissimi, fin d’ora noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è” (Gv. 31-5).

Parole audaci che esprimono la nostra eredità futura: la divinità di Cristo Salvatore sarà intimamente connessa con la nostra divinizzazione di salvati. Ed in questa intimità, e solo in essa, sapremo chi realmente siamo. Abbiamo quindi bisogno di trascendenza, di eternità: qualsiasi altra speranza che non sia eterna, ci risulta, infatti, menzognera. Solo la fede nella eternità riunisce presente e futuro; essa trascende l’istante, ma, nello stesso tempo, gli dà un valore immenso; per cui tutti gli istanti vissuti in grazia di Dio, rientrano nell’eternità. Allora, se siamo fatti per la eternità, per incontrarci un giorno con il Signore, non ha senso costruire qui, su questa terra la grande torre di Babele, fonte di confusione e di disfattismo; né ha senso alcuno farsi la piccola torre di avorio, nella quale gustare la propria ingordigia, dimenticando quanto Gesù dice:”A che serve guadagnare il mondo, se poi perderai l’eternità?”.

Di fronte alla caduta di tante speranze apparenti, che per secoli hanno costituito la fragile torre di Babele, come il marxismo, proiettato in un futuro immaginario e dannoso; oppure l’edonismo, immerso in un presente senza futuro, sfuggente che sbocca nel nulla, abbiamo bisogno di una speranza che non inganna. Non possiamo fermarci a guardare sorpresi la segnaletica della morte, dubbiosi che la vita non sia altro che una sua variazione, e, quindi, un non senso. Non possiamo vivere senza speranza, anzi abbiamo bisogno di sperare, se vogliamo sopravvivere. Nella provvisorietà delle cose, nella fragilità di quanto ci circonda, c’è una sola speranza che non inganna: è Gesù Cristo, il quale nel Vangelo odierno proclama:”la vostra  liberazione è vicina”. Una vicinanza temporalmente indeterminata, che ci deve coinvolgere in un’attesa vigile, operosa che parte dalla Sua contemplazione e discende sul versante della nostra quotidianità. E’ Lui, Gesù Cristo, la pietra angolare sulla quale possiamo e dobbiamo progettare e realizzare l’edificio della  nostra liberazione: una liberazione che agisce nella profondità dei cuori e ci converte alla speranza vigilante. Vigilanza per non cadere in “dissipazioni, ubriachezze ed affanni della vita”, e per essere sempre desti, vegliando in preghiera, preparati all’avvento di Gesù che salva; vigilanza in cammino sulla strada giusta della verità, per non sbandare nel deserto, nella oscura notte dei dubbi; vigilanza per non cadere nella ragnatela della superficialità, convinti di essere in attesa non di qualcosa, ma di un evento, di un giorno, di una persona: Lui, Gesù Cristo, il punto di riferimento delle nostre piccole e grandi scelte, il ponte tra l’aldilà che ci aspetta e l’aldiquà che viviamo come pellegrini, mendicanti del Cielo.